Volti nuovi nella scultura coneglianese di un tempo: Vittorio Celotti.

Vittorio Celotti

Un illustre “sconosciuto” della scultura coneglianese di fine Ottocento riaffiora dall’ingiustificato oblio, grazie alla recente pubblicazione monografica, “Vittorio Celotti, scultore (1866-1942)”, (edizioni della Laguna, pp.200, costo 38.00 €). Con metodologia scientifica e rigore documentaristico, setacciando per oltre dieci anni archivi, biblioteche, chiese e luoghi sepolcrali, piazze e vie urbane, Giovanna Terzariol Fabrizio, nipote da parte di madre, nonché autrice dell’accurato volume, tratteggia, con valida impostazione storico-filologica, un profilo umano e culturale di prim’ordine del celebre nonno, censendo in tutto il Triveneto, sul piano della sua produzione artistica, ben più di 120 esemplari tra la statuaria religiosa, celebrativa e profana.

Nato a San Fior nel 1866 in una famiglia d’intagliatori e di falegnami, fervidi antiaustriaci, Vittorio sceglie come luoghi elettivi di residenza familiare ed artistica, Colle Umberto, paese natale della moglie Eleonora Vanzini e Conegliano, ove nel 1923 avvia, lungo via Fenzi, un atelier scultoreo, ricco di fermenti creativi e di frequentazioni di giovani artisti di rango. Uomo dall’aspetto cordiale ed amabile ma caratterialmente riservato, formatosi stilisticamente tra l’Accademia di Venezia e la Scuola d’arte e mestieri di Vittorio Veneto, il Celotti consuma in 50 anni di attività, con esiti di raffinata soavità plastica, il suo innato amore per il legno, la pietra e la terracotta. Sa realizzare, sia nel vasto ambito delle committenze sacre e funerarie che nel diffuso apparato delle statue monumentali di carattere commemorativo, una scultura vibrante e leggiadra nel contempo, di fresca percezione del mondo, capace di modellare il reale in maniera diretta, seppur impreziosita di una sottile vena lirica e di un’intima persuasione neopurista, come ben evidenziano le sue splendide Vittorie alate e i suoi famosi Cherubini. Frastagliato e prolifico il “corpus” delle opere che adornano le chiese e le cappelle gentilizie, presenti nella diocesi di Vittorio Veneto. Solo per citarne alcune, si va dai baldacchini pensili lignei della parrocchiale di Colle Umberto, il suo debutto nel 1891, agli Angeli oranti di gusto liberty della parrocchiale di Mareno di Piave; dalla porta centrale della chiesa abbaziale di Follina all’argento sbalzato con Sant’Antonio nella parrocchiale di Bibano; dall’elegante Madonna di Lourdes nella chiesa arcipretale di Mareno fino alla lapide commemorativa di don Giulio Camilotto a San Fior, modellata come ultima opera di una carriera brillante, nel 1940. Supportata dal contributo scientifico del professor Eugenio Manzato e mossa dai ricordi vividi della nonna Eleonora, l’autrice è stata capace, con questa pubblicazione, d’inserire a pieno titolo, dentro la complessa vicenda della scultura d’immagine ottocentesca, la preziosa avventura artistica di Vittorio Celotti: un’avventura d’inesuaribile immaginazione e dai risultati di elevata distinzione. Una monografia artistica di classe, che vi affascinerà e vi sedurrà, non solo per il variegato apparato iconografico di cui risulta dotata, ma anche perché vi accompagna, idealmente per mano, tra le mille creature lapidee che spesso incontriamo con i nostri occhi nelle chiese, nei giardini pubblici e privati, lungo i viali, nei luoghi del trapasso definitivo, nelle piazze e di cui spesso non conosciamo origini, paternità e stile. Ebbene, tale monografia vi aiuterà a dirimere qualche dubbio e mistero, fornendo a molte opere la loro effettiva carta d’identità. Lieto viaggio “scultoreo” a tutti! A presto, carissimi lettori! Elena Pilato.

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