La vera storia della Madonna Litta di Leonardo.

Un dialogo universale e intimo, nel contempo: quello di una Madre, la Madre per eccellenza, che colma di tenerezza e di amore il suo Piccolo, il Figlio dell’Uomo, richiamandoci alla mente il dolcissimo legame che li unisce, oltre il tempo e oltre lo spazio. Eccoli i protagonisti sacri e vicini al nostro cuore del capolavoro leonardesco, la “Madonna Litta”, capolavoro assoluto del Genio vinciano, in dotazione permanente al Museo Ermitage di San Pietroburgo, che ne diviene proprietario nella seconda metà dell’Ottocento, quando il duca italiano Antonio Litta lo vendette, nel 1865 allo zar Alessandro II.

Dipinto bellissimo, impreziosito da una scena profondamente umana pur nella sua sacralità e da una cromia limpida, la cui genesi è circondata da alcuni fatti di particolare interesse, di cui mi appresto a narrarvi. Ebbene, l’infallibile Leonardo aveva 38 anni quando decise di dipingere la “Madonna che allatta il bambino”. Si era da poco stabilito in Lombardia, alla Corte dei Visconti, per i quali stava organizzando anche imponenti opere architettoniche e di viabilità come il geniale e complesso gruppo dei Navigli, cioè i canali navigabili che, partendo dal fiume Ticino, dovevano portare a Milano merci e materiale da costruzione, per poi “restituire” le acque nel fiume Po, in prossimità di Pavia. In particolare, Leonardo era impegnatissimo nel cercare una soluzione per ripianare il livello delle acque dei Navigli, che non era, al momento, compatibile con la navigazione fluviale. Pensò alle famose “chiuse” poi adottate in tutto il mondo, comprese le navigazioni sul canale di Panama e di Suez. Ma nelle sue escursioni sul territorio della Lombardia, Leonardo era rimasto impressionato anche da realtà ben diverse dal progetto architettonico dei Navigli: per esempio, i colori della natura attorno a Milano.

Gli apparivano spettacolari il cielo azzurrissimo nei giorni tersi e, una vegetazione molto più scintillante di quella ammirata in Toscana e, negli altri luoghi della Penisola che già conosceva. Fu con questa intuizione stilistica, cioè la vivacizzazione lombarda dei colori nei dipinti, che si accinse a creare, su una tavola di legno di piccole dimensioni, 42 centimetri per 33, la “Madonna che allatta il bambino”, ovvero un’opera di stupenda purezza cromatica. Si deve all’emerito professor Carlo Pedretti, che già ho avuto modo di citare in precedenti articoli quale esperto vinciano di fama, in quanto docente dell’università di Los Angeles e responsabile del centro studi leonardiano Armand Hammer, l’analisi di questa importante intuizione estetica del da Vinci in territorio lombardo, un autentico rinnovamento artistico. Precisa il Pedretti nei suoi studi: “Fu proprio con la Madonna Litta che Leonardo inventò il cosiddetto leonardismo, cioè una vera e propria scuola lombarda di pittura, caratterizzata soprattutto dal modo di presentare le figure più nitide e dalla scelta più vivace dei colori”.

Quando Leonardo, tra il 1482 e il 1483 si trasferì dalla Toscana alla Lombardia, mise a punto i suoi studi sull’anatomia e sulla luce e, incontrò un nuovo tipo femminile al quale ispirarsi rispetto alle Madonne toscane, ossia la donna lombarda, che trasportò sulla prima delle tele che realizzò in quel periodo, cioè quella meglio nota come Madonna Litta. Per non tenere in sospeso i nostri fedelissimi Lettori, spiego subito, in questo inciso, come mai la “Madonna che allatta il bambino” ha preso il nome di “Madonna Litta”. In realtà è semplicemente accaduto che, il dipinto su tavola, inizialmente di proprietà della Casa dei Visconti, venne venduto, a metà del Settecento, all’aristocratica famiglia milanese dei duchi Litta. Fu poi nel 1865 che il duca Antonio Litta decise di vendere il capolavoro, a sua volta, allo zar Alessandro II, il quale lo pagò una cifra paragonabile a 2,5 milioni di euro, circa 5 miliardi di vecchie lire, per rendere ancora più chiara la dimensione economica dell’affare. Lo zar Alessandro II portò a Mosca il dipinto e, solo in un secondo tempo, l’opera di Leonardo venne affidata al Museo dell’Ermitage, che la espose come massima opera rinascimentale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Tornando ai tempi di Leonardo e alla sua realizzazione della “Madonna che allatta il bambino”, va precisato che tra i bozzetti grafici preparatori del dipinto il da Vinci, scrupoloso per antonomasia, realizzò ben due disegni dello stesso soggetto. Questi disegni sono ora esposti, rispettivamente, nel museo parigino del Louvre e al museo Saedel di Francoforte. Lo studio preliminare grafico, che testimonia l’autentica esecuzione del maestro vinciano, nel caso tedesco è da considerarsi un frammento, essendo la figura soltanto tratteggiata. Ma lo straordinario dipinto contiene anche una sorta di giallo: la leggenda racconta che Leonardo, oltre ad aver praticamente creato una scuola di pittori alla Corte dei Visconti, affidasse la “rifinitura” delle sue intuizioni pittoriche ai suoi allievi. Da qui il giallo pittorico che è durato quasi tutto il Novecento: un gruppo di autorevoli esperti ha infatti valutato che, la “mano” di colore definitiva poteva essere stata pennellata da Marco D’Oggiono (1475-1530), uno dei più valenti allievi di Leonardo e, destinato a diventare un caposcuola dell’arte lombarda definita per l’appunto “leonardesca”.

Ancora una volta sono determinanti le parole di Pedretti a riguardo: “Gli ultimi esami sul capolavoro hanno dimostrato che la Madonna è stata dipinta da una sola mano. E quindi impostata ed eseguita da Leonardo in persona. L’unica cosa, a sua volta certa, è che Leonardo lasciò il dipinto non del tutto eseguito e, quindi, è possibile che le ultime rifiniture siano state realizzate da un affermato e capace allievo della sua scuola. Del resto i due disegni ora al Louvre e a Francoforte sono la riprova che il dipinto è pienamente leonardesco”. Ma le vicende della Madonna Litta non finiscono qui: il suo stato di salute era ad un certo punto diventato pessimo, in sostanza la tavola di legno si stava lentamente sfaldando con il pericolo di vedere il dipinto sbriciolato ed, irrimediabilmente compromesso. Fu presa, quindi, una decisione drastica: riportare la pittura su tela, con un’operazione costata molti miliardi di vecchie lire e durata un paio d’anni. Ciò che è emerso a fine lavoro è un dato oggettivo: su tavola i colori erano leggermente meno scintillanti, a causa dell’appannamento e dell’ossidamento dovuto al tempo. Su tela, la Madonna Litta riguadagna il suo antico splendore: il posto d’onore legittimo per uno sfolgorante simbolo della maestria leonardesca, su scala internazionale . Ancora una volta l’Italia genera Bellezza e Geni, senza pari e, li regala alle pupille del mondo. Lieta lettura ai Naviganti!!! Vostra Elena P.

3 commenti su “La vera storia della Madonna Litta di Leonardo.”

  1. LA MADONNA LITTA E LA TERZA VERSIONE DELLA VERGINE DELLE ROCCE NON SONO DI LEONARDO…

    Nell’incontro che avrà luogo il 18 gennaio alle ore 21 presso la Circoscrizione 3 di Como-Camerlata, sul tema “Leonardo..Prof” Arte e scienza sul Lario, Solari annuncerà i risultati di alcuni studi relativi ad alcune opere leonardesche che hanno recentemente animato il dibattito: è Leonardo l’autore della Madonna Litta (Ermitage) e della terza versione della Vergine delle rocce, come ritenuto da studiosi come Carlo Pedretti? O ha ragione il Marani che non condivide tale ipotesi?

    Fino ad oggi nessuno è pervenuto ad una tesi alternativa alla paternità leonardesca dei due dipinti. Solari intende proporre durante la serata del 18 Gennaio una sua ipotesi, nuova e inedita, supportata da alcuni interessanti indizi, che smentirà la paternità Leonardesca considerando infatti le due opere copie eseguite da un artista estraneo alla cerchia degli allievi ufficiali di Leonardo. E in anteprima, durante la serata stessa, rivelerà l’identità dell’artista. E’ più che un’ipotesi perché esistono degli indizi che potrebbero diventare, dopo un approfondimento tecnico delle opere, delle vere e proprie prove.

  2. Prof. Ernesto Solari

    Nella conferenza del 18 gennaio presso la sede Circoscrizione 3 di Como il Prof. Ernesto Solari, studioso di Leonardo, ha rivelato i risultati di un suo recente studio sul dipinto della Madonna Litta e sulla terza versione della Vergine delle rocce.
    Secondo tali risultati Solari afferma che la Madonna Litta non può essere di Leonardo, (come d’altra parte afferma già Pietro Cesare Marani a causa della “fattura, dello stile impacciato, delle tecniche” di stesura del colore) ma di un allievo; sono emersi inizialmente due nomi in particolare: Ambrogio De Predis, autore col fratello della seconda versione della Vergine delle Rocce, e Bernardino Luini. Esclude l’ipotesi secondo cui possa trattarsi di Marco d’Oggiono che non aveva certamente la possibilità di ottenere un risultato di grazia al livello della Litta, il De Predis (Adolfo Venturi) e il Luini in alcune loro opere raggiungono vertici importanti.
    Lontani dallo stile della Litta, secondo Solari, sono anche gli altri allievi ipotizzati: Zenale (per Crowe e Cavalcaselle), Bernardino de Conti (per Morelli), Boltraffio (per Brandi).
    Ambrogio de Predis ha mostrato grande abilità nella esecuzione della Vergine delle rocce e in alcuni ritratti eseguiti con grazia e raffinatezza tecnica, alla corte sforzesca, come la Dama con la collana di perle.
    E’ invece più legata ad indizi iconografici, fisionomici e anatomici l’ipotesi Luini: nella Litta i particolari nei quali il livello estetico cade sono quelli delle mani e dei piedini del bambino. Come è noto Luini ha mostrato spesso di trovare una certa difficoltà nella esecuzione di tali particolari, tanto è vero che si è più volte ritenuto di leggere proprio una sorta di firma nel pollice “luinesco” che caratterizza tutti i suoi dipinti. Spesso ritroviamo il pollice più grosso e distaccato rispetto al palmo della mano e con una certa curvatura dello stesso. Una soluzione simile alla mano della Litta la ritroviamo nel dipinto, purtroppo distrutto durante la guerra ma del quale abbiamo un’immagine alquanto eloquente, della Madonna col bambino e suor Alessandra Bentivoglio. Se poi osserviamo il bambino della Sacra famiglia dell’Ambrosiana notiamo anche la grande abilità e la grazia che il Luini sa dare al gesto, al volto, ai capelli ed ai particolari dei piedini, gli stessi che ritroviamo nella Litta.

    Solari poi ha fatto una dichiarazione veramente sorprendente:
    ……se non fossimo convinti pienamente dell’attribuzione ad uno di questi due allievi, l’unica alternativa possibile, sarebbe un artista che non è mai stato considerato da alcuno della cerchia degli allievi o dei leonardeschi…..
    Si tratterebbe di Antonio Allegri detto il Correggio. (1489-1534)
    Tale convinzione deriva dallo scritto “Memorie Istoriche di Antonio Allegri detto il Correggio” pubblicato nel 1817 da Luigi Pungileoni e dedicato a sua altezza reale Francesco IV D’Este, principe reale d’Ungheria e di Boemia, Arciduca d’Austria, Duca di Modena, Reggio, Mirandola, stampato a Parma il 13 maggio 1817, nel quale scrive:

    Secondo il parere di alcuni studiosi, pur non essendo considerato da nessuno un allievo di Leonardo, Antonio Allegri detto il Correggio venne educato nella scuola del Vinci….e la convinzione si lega alla bellezza di una mezza figura della Vergine esistente nel palazzo Melzi di Vaprio che era di uno stile gigantesco e morbido insieme.
    Lascio agl’intendenti l’impegno di giudicare se questo autore, piena forse avendo la mente delle cose operate da Lionardo, esageri o no, dicendo che se il Mengs (*) lo avesse conosciuto abbastanza, non lo avrebbe descritto ad alcuno secondo nel suo notissimo triumvirato.
    Per queste motivazioni e considerando le grandi abilità dell’Allegri si ritiene possa aver attinto direttamente alla grande pittura di Leonardo e a volte imitato ed interpretato..

    Il Correggio è certamente un artista di grande abilità, come riferisce in un suo libro anche il Pittore Mengs:
    Il Mengs cita in più occasioni il legame fra la pittura di Leonardo e quella del Correggio: parla di un dipinto di Leonardo che definisce del suo miglior stile, che rappresenta due putti scherzanti con un agnello, non molto ben eseguito; e un altro, che porta una sola testa di san Giovanni giovinetto. In queste pitture si vede il gran studio, che fece l’Autore sopra la luce, e le ombre, cioè sopra quella degradazione, che è dalla maggior luce alla maggior oscurità, osservando anche certa grazia, e gesti ridenti, che sembrano aver aperta la strada a Correggio per giungere poi a quella grazia, che si vede nelle sue Opere (e aggiunge in nota: tra i Quadri che da Modena passarono alla Galleria di Dresda, ve n’è uno del Correggio, che rappresenta la Madonna, la di cui testa è molto consimile allo stile di Leonardo).
    Il Mengs era convinto che il Vasari avesse usato nei confronti del Correggio un metro di giudizio sbagliato e dettato da una certa invidia, demolendo le sue abilità soprattutto grafiche, ma non volle entrare in polemica e pensò di limitarsi a scrivere:
    …per Correggio la delicatezza è la degradazione del chiaroscuro, il dipingere amoroso, e la squisitezza di grazia e di gusto.
    Il Mengs dice che di Correggio si hanno poche notizie: si sa che era molto colto ed erudito, studiò Filosofia, Matematica, pittura, architettura, scultura…
    Sono molto rare le opere nelle quali Correggio pose il suo nome e la data in cui le fece, onde è molto difficile fissar l’epoca in cui principiò a dare opere al pubblico, né lo stile delle sue prime fatiche. Era un artista che fin da’ suoi principi era già superiore a’ suoi maestri…e vi fu una mutazione rapida dal suo primo al suo secondo stile.
    Alla pittura, dopo Michelangelo, Raffaello e Tiziano mancava qualche cosa, cioè un complesso di diverse eccellenze che è l’estremo dell’umana perfezione. Questo complesso è in Correggio, il quale al grandioso e al vero unì una certa eleganza, che oggi porta il nome di Gusto.
    Correggio fu il primo che dipinse col fine di dilettar la vista e l’animo degli spettatori, e diresse tutte le parti della pittura a questo fine…..se gli altri aveano dipinto per soddisfare il loro intendimento, ei lavorava per soddisfazione del suo cuore, e secondo le proprie sensazioni, onde riuscì in tutto il Pittor delle Grazie.
    Niuno né prima, né dopo è giunto a maneggiar meglio di lui i pennelli; ma soprattutto è riuscito insuperabile nella intelligenza del chiaroscuro, e in dar rilievo alle cose,…Niuno finalmente seppe al pari di lui unir le ombre e i lumi, ne intese la degradazione di questi, e i loro riflessi nelle ombre senza affettazione, poiché le impiegava come se i corpi fossero specchi… (come Leonardo?..)
    Raffaello e Correggio sono i due pittori più grandi
    Correggio possedè unitamente quelle varie parti della Pittura che ciascuno ha fatto illustre un Pittore: verità e grazia per Raffaello, il ridente di Leonardo, l’impasto di Giorgione e il colorito di Tiziano.
    Antonio Raffaello Mengs
    Pubblicate da D.Giuseppe Nicola D’Azara-Parma Dalla Stamperia Reale

    Queste testimonianze e la indubbia abilità del Correggio, uno dei pochi a sapere imitare con grazia l’opera di Leonardo, secondo Solari potrebbe aprire nuove possibilità di attribuzione per alcune opere dichiaratamente leonardesche che però non hanno ancora trovato una dimostrazione di paternità da parte di alcun allievo della cerchia più stretta.
    E Solari propone come esempi da studiare, la terza versione della Vergine delle Rocce e una delle due copie della Madonna dei Fusi.
    A conferma di una possibile attribuzione al Correggio, Solari ha indicato numerose affinità stilistiche, cromatiche, fisionomiche e anatomiche.
    Si è aperta una nuova strada?

    Como, 19.01.2008 Prof.Ernesto Solari

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