Una magia chiamata New York nella penna di Georges Simenon.

Appassionante come una notte di buio pesto, che di lì a poco si colmerà di stelle; scorrevole come un sorso d’acqua cristallina, che delizia le nostre gole arse, nelle bollenti mattine di mezza estate; incalzante come il ritmo crescente di un tamburo africano che cadenza i palpiti nascosti dei nostri sensi; bruciante come può essere solo un Amore improvviso e totalizzante, che viene alla luce, senza annunciarsi e senza palesarsi nei modi consueti. Tutto questo si condensa nel meraviglioso romanzo “Tre camere a Manhattan” (182 pp., casa editrice Adelphi, costo 15.00 euro), che evidenzia tra le righe, in chiave quasi autobiografica, anche le passioni più pregne ed epicuree del suo autore, autentico gaudente e “bon vivant”.

Lui, l’artefice di tutto ciò, è il magistrale Monsieur Georges Simenon, l’insuperabile autore di gioielli letterari come “Lettera al mio giudice”, “Lettera a mia madre”, “L’uomo che guardava passare i treni”, ma soprattutto l’ideatore, il padre del celeberrimo commissario Maigret, personaggio divenuto protagonista di avvincenti serial televisivi, seguitissimi in tutto il mondo. Re dei “gialli” e delle trame a sfondo noir, il belga s’impone come maestro di stile e di scrittura a livello internazionale, oltre a dimostrare una rara dimestichezza con il mistero ed i grovigli narrativi di sicuro impatto sull’immaginario collettivo.

In quest’opera, datata 1946 ma di una modernità ancora sconcertante, che si divora davvero tutta d’un fiato, ove la vicenda è ambientata negli Stati Uniti cosmopoliti, il ritmo insegue il lettore, non gli dà tregua, inchiodandolo alla pagina, proprio come le sequenze di un film attanagliano lo spettatore alla sua poltrona. La notte newyorkese che segna tutta la narrazione, come una costante nota di fondo di basso, porta con sè qualcosa di morbosamente intrigante e di familiare, come scenario dai toni inesplorati ed enigmatici: un night che sta chiudendo, persone festose o malinconicamente smarrite in attesa di un taxi, qualche ubriaco a ravvivare la noia incombente. Scrive anzi descrive con una padronanza quasi fotografica, a metà tra il cronista con l’anima e lo scrittore d’ambiente, il nostro Simenon, come ben delinenano le sue stesse parole…”C’era aria di baldoria e di stordimento quella notte, l’aria di quelle notti in cui ci si trascina senza decidersi ad andare a dormire, l’aria di New York, certo era Lei, anche con la sua violenta, tranquilla sregolatezza”. E’ proprio in una notte come questa, dove ogni accadimento, ogni azione sembrano paralizzarsi nella stasi, che due anime perse magicamente s’incontrano, si scelgono, si rincorrono, si appartengono nei loro singoli e simili drammi.

Ci sono bicchieri traboccanti di whisky, ovviamente, nella migliore tradizione delle notti newyorkesi, a rallegrare queste ore lente e dilatate; c’è la testa di lei che gira improvvisamente e ti rapisce con uno sguardo smarrito; c’è la pelliccia che scivola lentamente a terra; ci sono le scarpe, bellissime, ma dai tacchi troppo alti come i grattacieli circostanti; ci sono le calze, raffinate, ma che si aprono ad una smagliatura come se covassero un desiderio di fuga verso mondi di verità e di contatto. I due naufraghi, da quella notte fatale pregna solo di mentale passione, si avvinghieranno talmente l’uno all’altra, che il solo pensiero di ritornare alle proprie solitudini risulterà  intollerabile.

Kay e Francois (il “mio Frank” così lo chiama la coprotagonista) diverranno due angeli caduti in un paradiso terreno dalle tinte fosche, avvinti in una storia d’amore sospesa nel tempo e nello spazio, che si ciba solo delle loro sensibilità infinite ed è minacciata, ad ogni respiro, dall’imprevedibilità del destino: protagonisti di un sortilegio-incantesimo sempre sul punto di spezzarsi. Hanno odiato fino a quella notte la loro solitudine corrosiva, dentro vite che non li rispecchiavano, dentro sentimenti alienanti ed assenti, ma proprio ora che l’AMORE, quello vero, li sorprende e li trascina, hanno una paura folle della vulnerabilità  dell’anima, dove un abbraccio può tradire l’innocenza di un cuore ferito. Non si confidano nemmeno la loro età , sanno poco l’uno dell’altra e poco vorranno sapere, fino alla fine. Per un attimo cederanno allo sconforto, al puro gioco scoprendo che i dolori delle rispettive e precedenti esperienze giacciono incancellabili dentro loro stessi.

Ma sarà solo per un attimo, giacchè il vento impetuoso e forte dell’Amore ha già deciso anche per loro e prima di loro. Ha deciso secondo le sue leggi, che sfuggono a tutte le ritrosie mentali e non conoscono ragionamenti a freddo. Se siete, quindi, alla ricerca, miei fidati lettori, di uno di quei momenti magici ed intensi che fermano il tempo, in cui lo smarrimento si trasforma in fiducia, lo scoramento in appartenenza pur nella distanza, la solitudine in amore e la disperazione in tenerezza, sappiate che con “Tre camere a Manhattan” avete imboccato il cammino giusto! Buona lettura-camminata per le strade di New York e soprattutto dentro i nuovi “voi stessi”!! Elena.

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