Garlasco: il libro che aveva già previsto tutto tre anni fa. Gabriella Ambrosio: “Altro che profezia, bastava leggere le carte”

Gabriella Ambrosio, autrice per Rubbettino del libro inchiesta “Il garbuglio di Garlasco”, è quasi stupita di tanto clamore intorno al suo lavoro. In fondo non ha fatto altro che studiare i documenti e ascoltare i protagonisti evitando di lasciarsi condizionare dal clamore mediatico che il caso ha suscitato e dai pregiudizi nei confronti di Alberto Stasi, nati unicamente intorno alla sua capacità di autocontrollo e al suo aspetto di ragazzo per bene (il bocconiano dagli occhi di ghiaccio, lo chiamavano).

Pubblicato nel 2022 da Rubbettino Editore, Il garbuglio di Garlasco è il libro che oggi molti definiscono “profetico” per aver anticipato, con tre anni di anticipo, molti degli elementi ora al centro della nuova inchiesta: le impronte trascurate, gli oggetti non repertati, le incongruenze investigative, le figure chiave come Andrea Sempio e le gemelle K, Paola e Stefania, il contesto locale con i suicidi giovanili inquietanti e un’ambiente che appare oggi tutt’altro che tranquillo. Ma per l’autrice non c’è nulla di profetico, solo un’attenta analisi dei documenti.

«Hanno parlato di un “libro-profezia”. Ma quale profezia? – ha dichiarato Gabriella Ambrosio – Le decine di impronte ignorate, o dichiarate arbitrariamente non attribuibili; gli oggetti non repertati; le intercettazioni che contraddicevano le dichiarazioni; le celle telefoniche non corrispondenti ai luoghi indicati; il diritto alla prova contraria negato alla difesa; l’avvocato della famiglia della vittima che aiuta il nuovo indagato; una sentenza di condanna basata su indizi contraddetti dalle testimonianze: tutto questo, e altro, era già scritto nelle carte. Chi voleva, sapeva. Di nuovo c’è solo che s’è finalmente mossa una Procura».

Proprio ora che si torna a parlare di impronte, è fondamentale ricordare come – come ben ricostruisce il libro – furono gli stessi inquirenti, nei primi momenti successivi all’omicidio, a compromettere gravemente la scena del crimine. I rilievi vennero eseguiti con superficialità: i carabinieri vennero fatti scendere nella cantina dove giaceva il corpo, senza indossare guanti e calzari, calpestando così potenziali tracce e sovrapponendo impronte a quelle già presenti. Una gestione iniziale confusa e priva del necessario rigore che, anziché chiarire, finì per compromettere l’intera lettura della scena del delitto.

A peggiorare le cose, alcune delle impronte più nitide non vennero considerate significative solo perché non corrispondevano a quelle già raccolte: un approccio selettivo e arbitrario che ha lasciato fuori elementi forse cruciali.

Ambrosio nel suo libro analizza anche il contesto più ampio: le indagini approssimative, le perizie non replicate, il sequestro di oggetti avvenuto senza le dovute garanzie, le testimonianze ignorate o messe da parte. E mostra con chiarezza come il caso sia stato, fin dall’inizio, incanalato su una sola pista: quella di Alberto Stasi, colpevole “ideale” perché freddo, razionale, troppo composto per essere creduto innocente.

Emblematico anche il racconto, contenuto nel libro, della testimonianza di Marco Muschitta: un uomo che aveva dichiarato di aver visto una ragazza simile a una delle cugine della vittima uscire in bicicletta dalla zona del delitto con un oggetto compatibile con l’arma. Una testimonianza presto ritirata, in circostanze mai del tutto chiarite, ma che avrebbe potuto aprire scenari investigativi mai approfonditi.

“Il garbuglio di Garlasco” si rivela oggi non un’opera “profetica”, ma un esempio concreto di ciò che la giustizia potrebbe e dovrebbe fare: leggere, studiare, collegare i fatti, senza cedere alle scorciatoie dell’emotività o del pregiudizio.

Per info

Antonio Cavallaro

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