Arles e i colori di un Genio planetario: Vincent Van Gogh.

Arles, il dipartimento Bouches du Rhone, vale a dire 2.800 ore di Sole l’anno: ecco la differenza ispirativa capitale. Una luminosità singolare, che ne fa, da quasi quarant’anni, la sede degli Incontri internazionali di fotografia. E che ritma, da più tempo ancora, con generazioni di pittori sedotti dai colori di una vita vicino al mare, la Camargue e la Provenza, lì attorno. Primo fra tutti Vincent Van Gogh, che la racconta in una lettera a Emile Bernard come una città “circondata da immense praterie fiorite d’innumerevoli boccioli dorati. E’ un vero mare giallo…”.

Non si può visitare, purtroppo, la sua mitica ed inconfondibile Casa gialla, che abitò fino al maggio 1889, distrutta dai bombardamenti del 1944, ma ritroviamo ancora alcuni dei paesaggi che, in quella sua incessante ricerca della luce e del colore (“il colore è per il quadro quel che l’entusiasmo è per la vita” scrive a Theo) ispirarono all’inimitabile Vincent oltre 300 opere, nell’arco di quindici mesi.

Ad esempio, l’incantevole “Ponte di Langlois” (a sud della città, il cui vero nome francese è Pont de Règinelle) che fa da straordinaria e lucente copertina visiva a questo articolo, la Terrazza del caffè sulla piazza del Forum, il giardino dell’ospedale dove l’Artista fu curato dopo un ricovero volontario (oggi denominato “Espace Van Gogh”). E i frutteti in fiore, “di un’allegria folle”, che Vincent dipinse con ritmo febbrile in una nutrita serie di quadri e disegni raffiguranti mandorli, ciliegi, albicocchi, peschi, susini, peri e meli: una Natura totalizzante e in piena fusione con l’irrefrenabile magma emotivo del sublime Vincent.

Nei vari luoghi dove si suppone che Van Gogh abbia piazzato il cavaletto, oggi alcuni cartelli rappresentano i magistrali e splendidi dipinti corrispondenti. Torna a rivivivere, d’improvviso, come in un intenso flash-back, una scena accaduta oltre cent’anni fa, quando uno strano Personaggio, una sera di settembre, dava ingenuamente e, senza alcun filtro simbolico, spettacolo del suo Talento, senza precedenti e senza fine creativa. Era assai tardi, nella notte solo la luce fioca di un caffè illuminato all’esterno da una lampada a gas. Per le viuzze tortuose e buie della cittadina scivola un’ombra (è il primo Pittore, in assoluto, che crei e stenda i suoi ineguagliabili colori, all’esterno, in fase notturna): sotto il braccio ogni sorta d’arnesi e sulle spalle, a tracolla, una cassa di legno appesa ad una cinghia di cuoio. In testa, un cappellaccio a falde larghe su cui erano fissate alcune bugie per le candele. Arrivato in place du Cornue, Vincent pianta il cavalletto di fronte al caffè. Appoggia una tela bianca, anch’essa incorniciata da bugie, a supporto di quella “cera” luminosa che fa da flebile faro nel buio più pesto.

Quando ebbe acceso tutte le candele, per vincere l’oscurità, si mise a dipingere. L’indomani tutta Arles parlava di quell’uomo un po’ bislacco, ma nessuno debitava della sua grandezza. Lasciata Parigi dopo due anni di esperienza metropolitana, Vincent raggiunge Arles il 20 febbraio 1888. Sistematosi prima al numero 30 di rue de Cavalerie, dove sorgeva un tempo l’albergo ristorante Carrel, poi al Cafè de l’Alacazar, dove dipinse più tardi il fantastico “Caffè di notte”, il 18 settembre Van Gogh prende in affitto, per 15 franchi al mese, “quattro locali o piuttosto due camere e due stanzini” al numero 2 di Place Lamartine, l’ala destra di una costruzione dipinta di giallo. Finalmente, se proprio non realizzava l’antico sogno di creare una comunità di pittori, poteva almeno accogliere degli artisti ,che avrebbero potuto vivere e lavorare al suo fianco. Andava così fiero della sua nuova abitazione da immortalarla in “La Strada”, la sua adorata Casa gialla, un folgorante olio su tela intriso della vampa ardente del sole a mezzogiorno, rinfrescata dal blu cobalto del cielo. E come faceva ormai per abitudine, ne manda una copia ad acquarello all’amatissimo fratello.

A 35 anni arrivò, dunque, una pausa di pace ed intimità per Vincent. Il suo umore migliorò e, da allora, tutta la sua produzione fu animata dall’unico scopo di abbellire la sua “maison d’artiste” con quadri tra i quali i celebri Girasoli, i fiori preferiti di Gauguin che, di lì a poco, lo avrebbe raggiunto. Per dimostrargli la sincera stima con la quale lo accoglieva, ne dipinse 4, ne firmò 2 e ne fece altre 3 copie. E prima ancora aveva inviato a Theo una serie di schizzi ad inchiostro, destinati ad essere venduti a un piccolo mercante di Parigi, per saldare il debito di Paul in Bretagna e per pagare il suo soggiorno arlesiano. Perché Van Gogh non vedeva l’ora di avere vicino un compagno di pittura ed amico. Ma l’esperienza fu deludente: un conflitto terribile insorse fra i due artisti e Gauguin ripartì per Parigi, dopo solo due mesi di una convivenza, che si rivelò all’insegna dell’incompatibilità di carattere.

Inizio maggio 1889. Vincent spedisce al fratello Theo una tela arrotolata, dipinta verso la metà d’ottobre dell’anno precedente, intitolata “Camera da letto”, esposta oggi al Rijksmuseum Van Gogh di Amsterdam. Un quadro-capolavoro, universalmente noto, “sicuramente uno dei migliori” nel giudizio del pittore, che mostra una camera linda e ordinata, arredata in modo così volutamente semplice, il letto, la toilette, due seggiole e, che simboleggia la grande importanza che la nuova casa assumeva per il Genio. Di quella dimora tutta per sé, che Vincent aveva sempre desiderato di possedere, dopo una vita trascorsa in alloggi più a buon mercato, ovvero “taverne o pensioni d’infino ordine”, la camera da letto era la parte più rilevante. Insomma era il suo rifugio dopo il lavoro, sempre “faticoso ed impegnativo sia mentalmente che spiritualmente” e, rappresentava un passo avanti decisivo rispetto alla vita frenetica, che aveva condotto a Parigi e che lo aveva indebolito.

Certa che Vincent sia già scolpito ed incastonato dentro la vostra emotività e non solo in fondo alla vostra retina, miei acutissimi Amici e Lettori, v’inviterei ad amarlo incondizionatamente, se decidete di amarlo, senza “sezionarne” la strepitosa maestria, con psicologismi grossolani ed analisi psicanalitiche di bassa lega!! Vincent fu un anticipatore, un contemporaneo “perenne” (scusatemi l’ossimoro), un veggente estetico e poetico: Genio sublime della fisicità, che visse e buttò su tela, alla “luce” piena dei suoi conflitti morali, in un’energia aurorale d’amore e di fraternità così potente, da sembrare ai più, strana e folle e da non potere, quasi, essere comunicata. In altre parole “un pesce fuor d’acqua” che trovò quiete e libertà solo nel suo immenso mare giallo. Solo un altro Sole potrà riconoscersi, a ragion veduta, in Lui. A presto!! Vostra Elena P.

Un commento su “Arles e i colori di un Genio planetario: Vincent Van Gogh.”

  1. Complimenti per l’articolo, è sempre un piacere immenso leggere i tuoi scritti, trasmettono passione ed emozione, il tuo talento per la scrittura si riversa in ogni singola parola. Brava Nafty, veramente by Dany

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