La Vita come ricerca di superiore ed eterna Bellezza: l’icona estetica di Dorian Gray!

Il Ritratto di Dorian Gray

“Lo studio era impregnato dell’intenso odore delle rose del giardino, fluiva dal vano dell’entrata il greve odore del lillà o il più delicato profumo dell’eglantina. Dal divano coperto di gualdrappe persiane su cui era sdraiato fumando, al suo solito, sigarette senza numero, Lord Enrico Wotton poteva cogliere lo splendore dei fiori dell’avorno, del color del miele e, come il miele dolci, i cui tremuli rami parevano sopportare appena il peso di una così fiammeggiante bellezza. A tratti l’ombra fantastica di un uccello in volo aliava lungo le pigre tende di seta tese davanti alla finestra immensa con un fuggitivo effetto giapponese…”. Ecco a voi l’incipit fascinoso, l’esordio narrativo, pregno di atmosfere seduttive e sofisticate, del capolavoro wildeano “Il ritratto di Dorian Gray” (casa editrice Oscar Mondatori, pagine 288, costo 8,40 €).

L’intreccio dei personaggi e delle vicende, su cui si regge il romanzo, appare dotato di linearità e compattezza evidente: saranno le sfumature evanescenti, le dimensioni impercettibili a segnarne la sconvolgente novità stilistica e letteraria. Dorian Gray, un giovane di straordinaria bellezza, si è fatto fare un ritratto da un pittore. Ossessionato dalla paura della vecchiaia, ottiene, con un sortilegio, che ogni segno che il tempo dovrebbe lasciare sul suo viso, compaia invece solo sul ritratto. Avido di piacere, si abbandona agli eccessi più sfrenati, mantenendo intatta la freschezza e la perfezione del suo viso. Poiché Hallward, il pittore, gli rimprovera tanta vergogna, lo uccide. A questo punto il ritratto diventa per Dorian un atto d’accusa e in un impeto di disperazione lo squarcia con una pugnalata. Ma è lui a cadere morto: il ritratto torna a raffigurare il giovane bello e puro di un tempo e a terra giace un vecchio segnato dal vizio.

Il romanzo “Il ritratto di Dorian Gary” esce sulla rivista americana “The Lippincott’s Monthly Magazine, nel luglio 1890 e, il suo collegamento alle chiacchierate vicende dell’autore gli garantisce fin dall’inizio un notevole successo; per questo ne è subito approntata una versione in volume, che esce l’anno successivo, notevolmente accresciuta. Wilde infatti aggiunge all’originale (di cui vanta una stesura velocissima) ben sei capitoli, per renderlo più in linea, con i gusti del tempo e, con le dimensioni medie di un qualsiasi romanzo di quegli anni, anche se in seguito la critica non h mancato di sottolineare il “pessimo servizio”, che le aggiunte hanno fatto all’opera, “sottraendo rapidità e tensione e, soprattutto mistero”. Comunque sia, il romanzo è fra gli scritti che più si prestano ad illuminare la filosofia wildeana.

Gli antecedenti letterari della vicenda del giovane inattaccabile dagli anni e dal vizio, i cui segni visibili vengono invece misteriosamente trasferiti su un suo ritratto, non mancano, nella narrativa dell’ottocento (“Melmoth il vagabondo” di C.Maturin, prozio di Wilde; “Pelle di zigrino” di H Balzac; “Vivian Gray” di B. Disraeli; “Il ritratto ovale” di E. A. Poe), anche se occorre dire che lo scrittore irlandese ha raggiunto, nella descrizione di questo diabolico ribaltamento dei normali rapporti fra soggetto e sua immagine, i risultati senz’altro più avvincenti. L’incorruttibilità del copro di Dorian di fronte alle ingiurie del tempo e soprattutto del vizio, dovrebbe necessariamente comportare per il romanzo una lettura in chiave morale; in realtà è lo stesso Wilde a vietare, prima, durante e dopo la stesura dell’opera, interpretazioni di tipo etico.

In più di una lettera al direttore della “St. James’ Gazette” (il cui critico ha stroncato come immorale il romanzo) Wilde può tranquillamente rispondere che “la sfera dell’arte e la sfera dell’etica sono assolutamente distinte e separate” e che solo, nella puritana Inghilterra, è ipotizzabile un così duro attacco all’autonomia artistica (in Francia quel critico moralista “farebbe la figura dello sciocco non soltanto agli occhi di tutti i letterati, ma agli occhi della maggioranza del pubblico”). Per una intepretazione per così dire proibita dall’autore stesso, molte altre ne nascono, a garantirne l’importanza storica e a spiegarne il gradimento, pressoché continuo del pubblico. Il Ritratto è infatti, contemporaneamente, eccezionale documento autobiografico, testimonianza insostituibile su una fase assai particolare della vita inglese del secondo Ottocento, saggio di estetica decadente.

Che sia un documento autobiografico ce lo confermano Dorian e soprattutto Enrico Watton, anch’egli, come il suo autore, filosofo da salotto, mondano e cinico ostentatore di eccentricità, così come ce lo conferma la figura del pittore Basilio Halllward innamorato del suo modello, che anticipa misteriosamente (secondo la convinzione wildeana che spesso la Vita imita l’Arte) il rapporto di Wilde col bellissimo Alfred Douglas. Quanto al saggio di estetica decadente il romanzo, se concede non poco agli aspetti deteriori dell’estetismo, col suo datato e ai nostri occhi un po’ buffo “bric-à-brac” di pietre colorate, tappezzerie cinesi, resine profumate, “tulipani screziati e iridi purpuree” (in gran parte estrapolati da “A ritroso”, “quell’iperrealistico studio di Huysmans circa il temperamento artistico nella nostra in artistica età”), rappresenta soprattutto il miglior raccolto della semina di Walter Pater e delle sue teorie sulla vita, che si realizza solo ed esclusivamente nella forma estetica.

Resta da dire del valore del romanzo come documento di un’epoca breve, ma assai ben caratterizzata: da questo punto di vista la violenza con cui l’opera venne attaccata, la rilettura che se ne fece ai tempi del processo per scovare tracce di passioni non consentite dal vivere civile, sono la prova più tangibile di quanto Wilde avesse colto nel segno, scegliendo la strada più diretta, lo scandalo, nella sua azione di sconvolgimento del falso moralismo vittoriano. Sta soprattutto in questo la modernità del romanzo, in questo fastidio ormai incontrollabile nei confronti di una società bendata e falsa, in questo desiderio che un mattino “i nostri occhi possano aprirsi su di un mondo tutto rinnovato…un mondo in cui il passato poco o nulla si palesi, o sopravviva comunque in forme ignare del rimorso e del rimpianto”. Lasciatevi rapire e assorbire dalla spirale misteriosa e visionaria del Dandy più arguto e accattivante della scena letteraria ottocentesca, l’intrigante e geniale Oscar Wilde!! Vostra Elena P.

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