Immaginate un castello in pietra grigia, al centro di una grande e scenografica piazza, al limitare della “Mandorla” che rende unico, per originalità di impianto urbanistico, il borgo di Montevarchi nell’aretino, alla porta del Chianti. Sviluppatosi come “mercatale” lungo la principale via di comunicazione tra Arezzo e Firenze, ai piedi del castello originario prima proprietà dei Marchesi di Pierle e poi dei Conti Guidi, Montevarchi passò sotto la giurisdizione di Firenze definitivamente nel 1273. Da allora divenne caposaldo di confine e importante centro di scambi commerciali, tanto che necessitò di strutture difensive forti ed efficaci.
La cinta muraria voluta dai Fiorentini nel 1328 si sviluppò, seguendo l’assetto urbanistico, con andamento ellittico; in particolare le mura – tuttora talvolta visibili anche se inglobate in strutture abitative private – curvavano nella parte che guardava verso Arezzo, in corrispondenza del torrente Dogana, e nella parte che guardava Firenze. Della fortificazione montevarchina facevano parte le due porte principali alle estremità dell’attuale Via Roma – la Porta Fiorentina (distrutta nei primi anni del XX secolo) e la Porta Aretina – altre cinque porte minori, un antemurale a protezione della zona destinata al mercato, e due torri, delle quali la più imponente e importante era il Cassero, tutt’oggi conservato.
Il Cassero si raccordava alla Porta Fiorentina con un tratto murario curvo, riemerso durante la recente ristrutturazione della piazza antistante ed evidenziato mediante la diversa pavimentazione realizzata nell’occasione. Il Cassero aveva quindi funzione militare attiva ed era costituito da un “maschio a cui è attaccato il corpo di guardia per i soldati, i quali dalla cima della torre vi scendevano a riposarsi finita la loro funzione…”(Conti, 1770). Il mutare degli assetti politici ed economici dei secoli successivi trasformarono Montevarchi da avamposto militare a centro manifatturiero (i “pannilana”) e agricolo (sede della Fattoria Medicea) al servizio del governo fiorentino; le mura tuttavia vennero tutelate e mantenute fino al XVII secolo quando, di un lungo periodo di pace e stabilità politica con il conseguente ampliamento della città, non le fecero cadere in oblio.
Le fortificazioni persero la loro importanza, una parte di esse venne abbattuta mentre altre furono incorporate in nuove costruzioni. Il periodo lorenese incrementò un processo di privatizzazione di edifici fino ad allora di proprietà granducale, modificando il volto di parte del centro storico; alla fine del XVIII secolo il Cassero venne ceduto a privati, senza tuttavia che ne fosse stravolta la struttura. Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, l’edificio fu acquisito dalla Provincia di Arezzo e nei primi decenni del secolo successivo subì i primi interventi di ristrutturazione interna, tornando ad assumere la sua originaria funzione “difensiva” con la destinazione a sede della locale Caserma dei Carabinieri.
Nel 1996 l’Amministrazione Provinciale di Arezzo ha concesso la struttura in comodato al Comune di Montevarchi, che ha deciso di provvedere alla sua ristrutturazione. Nel corso degli anni sono stati vari e molteplici gli interventi realizzati sull’edificio – sottoposto fra l’altro al vincolo di cui alla legge n°1089 del 1 giugno 1939 – fino al rinnovamento della struttura portante del tetto. Interventi che hanno portato il fabbricato a comporsi attualmente su due piani oltre il piano terra che si affaccia sulla piazza; in particolare, il secondo piano è stato ricavato chiudendo la merlatura della struttura originaria.
All’interno dell’edificio, con la chiusura dell’antico cortile, è stata costruita una scala in pietra a collegamento dei tre piani. Per il recupero della struttura, l’Amministrazione Comunale, per quanto previsto dall’art. 12 della legge n 537 del 24.12.1993, ha chiesto ed ottenuto un contributo della Regione Toscana e con deliberazione della Giunta Comunale n°810 del 21.08.1996, esecutiva, è stato approvato il progetto per i “Lavori di riconsolidamento per il recupero del Cassero”. I lavori eseguiti sono stati finalizzati al recupero strutturale del Cassero per destinarlo a sede museale e centro di documentazione.
A popolare il castello, centinaia di sculture, creature nate tra Ottocento e Novecento, bronzi, legni, gessi, terrecotte, ceramiche, marmi, collocate su mensole rosso mattone su sfondo azzurro, a suggerire scenografie modernissime che si coniugano perfettamente con le pietre delle strutture antiche. Oppure istallate nello statuario al pianoterra, a guardare, ed essere ammirate, di là dalle ampie superfici di vetro che aprono il Cassero verso la grande piazza.
Criteri museografici e museologici all’avanguardia e gusto per la scenografia sono sottesi alla collocazione di questo patrimonio d’arte, facendolo per la prima volta emergere dai depositi, ma soprattutto dalle case-studio appartenute agli artisti. A sovrintendere alla nascita del nuovo Museo-Centro di documentazione è il professor Alfonso Panzetta, che, su mandato del Comune di Montevarchi, lo dirige. Il tutto è solo la punta di un iceberg. Il Cassero per la Scultura è infatti non tanto e non solo un nuovo spazio museale che non ha paragoni in Italia, ma un progetto originale, unico nel suo genere. Un luogo per imparare a guardare la scultura e un centro dove scoprire, conoscere, documentare e comunicare la scultura italiana degli ultimi due secoli.
Come finalità primarie il Cassero per la Scultura si pone infatti la ricerca e la documentazione della plastica italiana otto e novecentesca. E ciò allestendo esposizioni d’ampio respiro, stabilendo rapporti con le Università italiane, oltre che naturalmente, toscane, ponendosi come punto di riferimento per le numerose Gipsoteche e Musei d’Artista presenti nella Regione ed in Italia, e avviando con esse progetti comuni per la divulgazione e la conoscenza di collezioni poco note e visitate. Ma alle finalità primarie, il Cassero affiancherà anche una singolare e innovativa attività didattica destinata ai visitatori più giovani.
Al momento la collezione permanente, interamente restaurata, consta di oltre mezzo migliaio di opere tra bronzi, marmi, gessi, terrecotte e disegni, di artisti toscani e italiani, giunte a Montevarchi grazie a donazioni di privati, e sono queste le opere con cui apre il Cassero per la Scultura. In sale dedicate, il visitatore potrà così ammirare le creazioni di maggior rilievo di artisti come Michelangelo Monti, Timo Bortolotti, Arturo Stagliano, Alberto Giacomasso, Mentore Maltoni, Valmore Gemignani, Firenze Poggi e Donatella (Dodi) Bortolotti. Oggi tutte patrimonio dell’istituzione aretina. E con esse le sculture dei montevarchini Pietro Guerri, Elio Galassi e Ernesto Galeffi, già di proprietà comunale.
Non mancano i capolavori come L’inizio alla vita e Gioventù di Michelangelo Monti, il primo – eccellente esempio di quella scultura d’impegno sociale – venne esposto alla Quadriennale di Torino del 1902 davanti al notissimo Quarto Stato di Pellizza da Volpedo oggi alla GAM di Milano, il secondo invece, più novecentista, apprezzato da Margherita Sarfatti alla I Biennale romana del 1921. Il Pescatorello e La preda di Timo Bortolotti, rispettivamente esposti il primo alla II Quadriennale romana del 1934 e alla storica Esposizione d’Arte Italiana al Jeu de Paume di Parigi nel 1935, dove ottenne l’apprezzamento di Maillol, e il secondo alla IV Quadriennale romana del 1942.
Ma anche lo straordinario ritratto del 1932 di Gastone Brilli Peri, storico antagonista di Nuvolari, con cuffia e occhialoni da pilota, opera matura di Pietro Guerri, e il fascinoso e tremendo Roi René del 1964 di Ernesto Galeffi, unicum assoluto nel panorama della scultura occidentale del secondo Novecento. Ma il Cassero per la Scultura, oltre che un suggestivo e godibilissimo (oltre che innovativo) scrigno di opere esposte è anche un fondamentale centro di documentazione. In locali accessibili agli esperti accoglie infatti un considerevole numero di documenti originali, fotografie d’epoca e rassegne stampa, cataloghi d’arte. Un cuore archivistico che si sta allargando grazie a continue donazioni e acquisizioni e che già oggi è tra i più importanti del Paese.
Una volta godute le meraviglie del Cassero per la Scultura, è piacevole passeggiare in quella che è stata e continua ad essere la Piazza del Mercato e che, oggi, rimessa a nuovo, è diventata uno dei fulcri della città. Non vi è possibilità di dubbio sul fatto che Montevarchi, al limitare del Chianti, meriti una visita approfondita. Se non altro per lasciarsi straniare dai vicoli che intersecano e uniscono le varie porzioni della “mandorla” che rende unica al mondo la conformazione urbanistica del suo centro storico.
Qui non è difficile respirare ancora l’aria di città per secoli preservata da mura a da sempre aperta agli scambi. Ne è appunto testimonianza il Mercato che ancora oggi, come otto secoli fa, si svolge tutti i giovedì. Un mercato che fu tanto importante da imporre una propria unità di misura, la Staio montevarchino (dall’antica unità romana di misura: “stadio”). Tra i monumenti che meritano una visita va sicuramente citata la Collegiata di San Lorenzo, prima romanica oggi barocca, che custodisce la venerata Reliquia della Sacro Latte.
Nell’attiguo Museo di Arte Sacra il capolavoro da non perdere è il tempietto di Andrea della Robbia, datato 1505. Due altre chiese ragguardevoli sono quelle della Madonna del Giglio, cinquecentesca, e della Misericordia, anch’essa di origine cinquecentesca e nota come la “Chiesa delle Monache” per l’essere stata luogo di culto del monastero di Santa Maria Del Latte. Tra gli altri numerosi edifici legati al culto, meritano citazione La Ginestra”, per molti secoli ospitale dei pellegrini che scendevano verso Roma e poi convento, e il Colle dei Cappuccini da cui si domina la città.
Al di là delle testimonianze architettoniche e artistiche da segnalare, nella visita al Colle, molti motivi di interesse naturalistico e tra essi il leccio plurisecolare, inserito tra i grandi e leggendari patriarchi verdi della Toscana. Tra gli edifici “civili” importante è il Palazzo del Podestà, di impianto medievale, saccheggiato e incendiato nel ‘500 dalle truppe di Calo V, riedificato in modo mirabile. Tra gli orgogli di Montevarchi vi è il Museo Paleontologico ospitato nell’ex Convento di San Lodovico che conserva molte rarità, compreso il cranio completo di un antichissimo Elephans Meridionalis. I dintorni collinari sono un susseguirsi di borghi e di castelli, in un paesaggio di rara suggestione che penetra nel territorio del Chianti. Qui resta attuale il nome dei Ricasoli, un cui esponente, il barone Bettino, il “Barone di Ferro”, fu primo ministro del Regno d’Italia, succedendo al Conte di Cavour.
La notorietà di statista qui però va di pari passo ad un altro merito storico: l’aver modernizzato la vinificazione del Chianti. Non lontano da un altro dei castelli della zona, quello di Moncioni, merita una visita il più antico Arboreo d’Italia, il “Pinetum” istituito nel 1850 per acclimatare e accogliere piante di tutto il mondo: gigantesche sequoie, cedri e pini dei quattro angoli della terra sembrano aver trovato qui il loro habitat ideale. Allargandosi appena un poco, si svela la magia del territorio del Chianti: dentro un paesaggio tra i più celebri al mondo, vigneti (e straordinari vini), castelli, abbazie, antichi borghi. A trasformare il soggiorno in un’indimenticabile esperienza di vita.
Per Informazioni:
Cassero di Montevarchi, Ufficio cultura del Comune tel. 055/9108230; 055/9108314. Biglietto intero: € 3,00. Ingresso gratuito per gli over 65 anni. Sotto 18 anni € 1,00