Il fascino dell’iconografia alchemica nei Tarocchi di Sola Busca!

Tarocchi di Sola Busca Locandina

Nel 2009 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, esercitando il diritto di acquisto all’esportazione, ha comprato il più antico mazzo di tarocchi italiano completo (che è anche il più antico esistente al mondo), noto come mazzo Sola Busca dai nomi dei precedenti possessori (la marchesa Busca e il conte Sola) e l’ha destinato alla Pinacoteca di Brera, che già conservava un gruppo di 48 carte, parte di un prezioso mazzo tardo-gotico realizzato per il duca di Milano (mazzo cosiddetto Brambilla).

La mostra intende presentare questa importante acquisizione al grande pubblico, indagandone per la prima volta in maniera approfondita il contesto culturale e le possibili fonti, la complessa iconografia, arrivando così anche a precisarne la datazione e a identificare l’artista che lo ha realizzato e l’umanista che ne ha suggerito l’iconografia, aspetti tutti che non sono mai stati in precedenza sviscerati dalla critica.

Il gioco dei tarocchi, inizialmente noto come “triumphi” (la parola “tarocchi” pare sia stata introdotta per la prima volta in un documento del 1505), risulta documentato in Italia come gioco dei ceti più elevati a partire dal quinto decennio del XV secolo soprattutto in area ferrarese, dove si conservano molti documenti relativi alla fornitura di mazzi miniati o a stampa per membri della famiglia ducale, dei quali però per il momento non pare essersi conservata traccia.

Viceversa, nella totale assenza di attestazioni documentarie, in Lombardia si conservano esempi molto precoci di carte da tarocchi miniate (mazzi frammentari per le famiglie Visconti e Sforza) di cultura tardo-gotica e diverse carte giustamente famose per la loro bellezza si conservano dal 1971, come già ricordato, proprio presso la Pinacoteca di Brera. Soltanto in un secondo momento il gioco è documentato anche a Bologna e Firenze, mentre gli studiosi ancora dissentono sull’eventuale antichità o meno della tradizione veneziana.

Si trattava di mazzi destinati al gioco nelle corti, un gioco raffinato di tipo intellettuale, ben diverso dai giochi di carte praticati nelle osterie, spesso deplorati e sanzionati dalle leggi; mentre totalmente estraneo al gioco all’epoca era l’aspetto “divinatorio”, che sarebbe diventato prevalente con la scuola francese del XVIII secolo.

In questo contesto il mazzo Sola Busca si presenta come eccezionale da tanti punti di vista. Anzitutto è il più antico mazzo completo, composto da ben 78 carte, 22 “trionfi” e 56 carte dei quattro semi tradizionali italiani (denari, spade, bastoni e coppe). Si tratta di stampe su carta da incisioni a bulino, montate anticamente su cartoncino, che sono poi state miniate a colori e oro.

In secondo luogo l’iconografia dei “trionfi” si discosta da quella più tradizionale dei mazzi quattrocenteschi, una sequenza che dal Bagatto arrivava fino al Mondo e al Giudizio Universale (Angelo), in una sorta di percorso di elevazione del giocatore dalle condizioni più legate alla terra fino a Dio. Nei tarocchi Sola Busca invece i “trionfi” ospitano una serie di figure di guerrieri dell’antichità romana (in molti casi legati alla saga di Mario) ovvero eroi della storia biblica, legandosi in qualche modo alla tradizione degli Uomini illustri proposti come exempla da imitare, che affondava le sue radici nella cultura medievale, da Petrarca a Boccaccio, utilizzati come fonti da molti artisti (anche se in molti casi è possibile leggere in controluce alcuni dei soggetti più tradizionali dei “trionfi”: è il caso ad esempio del Trionfo della Fortuna in Venturio.X o del Trionfo della Morte nel Catone.XIII).

Ancora al tema degli Uomini illustri (apparteneva infatti ai Nove Prodi) rimanda Alessandro Magno, a cui è dedicato nel mazzo il seme di Spade. Una figura che, grazie all’episodio dell’elevazione al cielo su un carro trainato da grifoni era divenuta a partire dal Medioevo per molti signori italiani (ad es. Este e Sforza) un simbolo dell’anelito all’immortalità.

Le maggiori particolarità a livello iconografico si riscontrano però nel seme di Denari, dove diverse carte, come si è riconosciuto per la prima volta in occasione di questo studio, alludono a fasi della monetazione (quindi un procedimento di lavorazione dei metalli) e alcune sono spiegabili solo sulla base della tradizione alchemica medievale che, come è noto, mirava alla pietra filosofale per l’ottenimento a partire dai metalli più vili dell’oro dei filosofi ovvero dell’elixir di lunga vita, se non proprio farmaco dell’immortalità almeno rimedio contro molte malattie.

Tra queste si segnalano di iconografia alchemica in particolare il 4 di Denari (la Terra madre dei metalli), il 5 di Denari (l’elemento maschile = l’alchimista che ingravida la terra per ottenere il lapis philosophorum, con l’utilizzo del fuoco) e il 9 di Denari (la nigredo o morte della prima materia, primo gradino del processo alchemico). Queste immagini divengono comprensibili grazie anche al confronto con la ricchissima iconografia che accompagna uno dei più preziosi codici alchemici italiani, il Raimondo Lullo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (B.R.52).

Nel 10 di Coppe troviamo un’altra chiave di lettura del mazzo, e cioè un ritratto di orientale che è possibile identificare, per confronto con il codice alchemico della Biblioteca Laurenziana di Firenze (Asburn.1166), in Ermete Trismegisto, indicato già dal XIII secolo come padre dell’alchimia nell’introduzione alla traduzione latina del trattato del famoso alchimista arabo Morieno.

Questa figura emblematica ci consente di collegare il mazzo agli interessi ermetici degli umanisti italiani, riaccesi dalla presenza in Italia di un codice contenente quattordici dei quindici trattati del Corpus Hermeticum, che vennero tradotti in latino, come è noto, nel 1463 da Marsilio Ficino a Firenze, su incarico di Cosimo il Vecchio (col titolo di Pimander) e poco dopo dati alle stampe a Ferrara e a Treviso, con una straordinaria diffusione in tutta Italia.

Lo stile delle carte, fin qui giudicato di area ferrarese, ad una più attenta analisi condotta sulla base di alcune carte sciolte dello stesso mazzo da una serie non miniata (stampe dell’Albertina di Vienna) e su diverse incisioni già avvicinate dalla critica alla stessa mano (Martirio di S. Sebastiano e Ercole e Anteo di Vienna, Due donne in profilo di Berlino) ha portato, proprio in occasione di questa mostra, a identificare l’artista con il pittore anconetano Nicola di maestro Antonio, noto finora per una raffinata produzione su tavola.

Ne sono in mostra quattro importanti esempi che si scalano dalla metà degli anni Settanta del Quattrocento alla fine degli anni Ottanta: eccezionale è il prestito della Pala Massimo, uscita una sola volta dalla cappella privata ove si conserva, che tradisce la formazione dell’artista sui testi degli squarcioneschi, da Marco Zoppo (in mostra la Testa di S. Giovanni Battista dei Musei Civici di Pesaro) a Giorgio Schiavone (Madonna col Bambino del Museo Correr di Venezia), per arrivare ai raffinati grafismi di Carlo Crivelli (di cui la Pinacoteca possiede diversi importanti polittici degli anni Ottanta), con cui addirittura sembra gareggiare in opere come il S. Bartolomeo (La Spezia, Museo Lia), le Due donne in profilo (Berlino) o molte figure dei Tarocchi.

Il profondo interesse antiquario documentato nei “trionfi” trova riscontro nella possibilità di confrontare alcuni profili delle carte con monete romane (Milano, Museo del Castello Sforzesco) e nel comune retroterra culturale con umanisti come Giovanni Marcanova e Felice Feliciano, che ugualmente uniscono cultura antiquaria e interessi alchemici.

Sempre in occasione dello studio per la mostra si è individuato come possibile ideatore del programma iconografico l’umanista Ludovico Lazzarelli, nativo di San Severino Marche, una figura molto complessa di poeta e filosofo, conoscitore del greco e dell’ebraico, di alchimia e cabala (in anticipo su Pico della Mirandola), che visse a lungo nella Roma di Papa Sisto IV e poi a Napoli presso re Ferdinando d’Aragona. Viene considerato dagli studiosi uno dei massimi esponenti della corrente umanistica dell’ermetismo cristiano, che mirava al raggiungimento di una conoscenza superiore grazie alla fusione di fonti classiche, ermetiche e cristiane.

Quanto alla datazione e al possessore del mazzo, ci soccorrono le iscrizioni (oggi mutile ma lette nel 1938 dallo Hind) che ricorrono su molti scudi presenti nelle carte e l’identificazione degli stemmi, effettuata per la prima volta in occasione di questo studio: il mazzo Sola Busca, probabilmente da poco stampato, venne miniato nel 1491 a Venezia con grande probabilità per Marin Sanudo, il giovane, il famoso storico autore dei Diarii, di cui la critica ha sostanziato di recente anche interessi in campo alchemico.

Si tratta quindi in conclusione di uno straordinario prodotto dell’umanesimo italiano nel momento di massima fiducia nelle capacità creatrici dell’uomo, in grado di utilizzare per il momento ancora senza preclusioni tutte le fonti note, letteratura classica e religiosa, e testi filosofici, ermetici, magici, alchemici, penetrando in questo modo il segreto dei segreti, allo scopo di arrivare ad un livello sempre più alto di una conoscenza quasi divina. Questo percorso si compie attraverso le carte, un vero mazzo per un raffinato gioco, probabilmente usato solo nella versione a stampa (di cui infatti ci sono rimaste solo poche carte sparse in vari musei) e non per quanto attiene al nostro mazzo, che dovette essere conservato con grande cura, visto il perfetto stato in cui si trova.

Il gioco prevedeva un percorso di perfezionamento interiore che partiva dagli exempla degli Uomini illustri dell’antichità per arrivare, tramite la pratica alchemica e la conoscenza delle dottrine ermetiche, fino allo stadio di “uomini divini”, in grado di generare altre “anime divine”, in una sorta di compartecipazione alla Creazione, secondo le più moderne concezioni dell’ermetismo cristiano.

Programmata da Sandrina Bandera, direttore della Pinacoteca, con l’intento di presentare al pubblico un importante acquisto effettuato dallo Stato italiano, la mostra, prodotta in collaborazione con Skira editore, si deve all’ideazione di Laura Paola Gnaccolini, storica dell’arte della Pinacoteca di Brera specialista di miniatura e di pittura del Rinascimento.

Il catalogo, edito da Skira, contiene oltre al saggio della curatrice e le schede delle opere in mostra (redatte anche con la collaborazione degli specialisti Rodolfo Martini e Matteo Mazzalupi), un consistente contributo del Prof. Andrea De Marchi, dell’Università degli Studi di Firenze, sulla personalità del pittore anconetano Nicola di maestro Antonio, autore dei Tarocchi Sola Busca.

Dal 13 novembre al 17 febbraio 20913
Pinacoteca di Brera
Via Brera, 28
20121 Milano
tel. 02 722 63 264 – 229
fax: 02 720 011 40
e-mail: sbsae-mi.brera@beniculturali.it
Orario di apertura:
h 8.30-19.15 dal martedì alla domenica (la biglietteria chiude alle 18.40)
Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.