La Nuova Fondazione Querini Stampalia (VE) si presenta al Mondo!

Fondazione Querini Stampalia

“C’è voluto più di mezzo secolo di lavori continui, e di tanta passione e tenacia da parte di tutti. Ma ciò che veneziani e turisti hanno oggi davanti è una sintesi di venezianità e cultura che ha riconquistato la dignità che le spetta per origine, importanza e funzione”. Ad affermarlo è Marino Cortese, Presidente della Fondazione Querini Stampalia, giustamente orgoglioso di presentare la sua “nuova” istituzione.

C’era stato nel 1963 il prezioso intervento di Carlo Scarpa, considerato come perfetto esempio della “più colta e aristocratica architettura del Novecento italiano” ma questo era stato limitato al solo ingresso originario e al recupero di un cortile interno del palazzo: un gioiello di architettura e poesia, incastonato in un complesso illustre, ma drammaticamente decaduto. Scarpa intervenne nel restauro del piano terra del palazzo cinquecentesco Querini Stampalia, voluto dal presidente della Fondazione Gino Luzzatto e dal direttore Giuseppe Mazzariol e per il quale lavorò dal 1959 al 1963, dopo che già nel 1949 il precedente direttore Manlio Dazzi l’aveva ricercato per por mano a ingresso e giardino.

La ristrutturazione del precedente impianto scenografico ottocentesco, di sapore vagamente neoclassico, si è basata su un misurato accostamento di elementi nuovi e antichi e su una grande maestria nell’usare materiali cari al vernacolo veneziano, giocati su contrasti ricercati e sottili nuances. L’acqua è protagonista: specchio del palazzo all’esterno, entra nell’edificio attraverso paratie interne lungo i muri; si ritrova quindi in giardino, in un’ampia vasca a più livelli in rame, cemento e mosaico e in un piccolo canale lineare che nasce e muore in due labirinti scolpiti in alabastro e pietra d’Istria, dove l’acqua è suono e movimento. L’opera di questo ripristino architettonico si articola su quattro temi: il ponte, che rappresenta il più leggero e rapido arco di congiunzione che sia stato realizzato a Venezia negli ultimi secoli, l’entrata con le barriere di difesa dalle acque alte, il portego e il giardino.

Qui Carlo Scarpa ha trasformato un tipico cortile veneziano in un incantevole hortus conclusus, reinterpretando le tradizioni arabe e giapponesi. Al centro un tappeto erboso geometrico con un ciliegio, una magnolia e un melograno. Tutt’intorno macchie di rampicanti e cespugli da fiori completano l’arredo vegetale, accompagnando un’antica vera da pozzo, un leone gotico, dei capitelli e due fontane. Giuseppe Mazzariol, finché rimase alla guida della Fondazione, ne curò il destino seguendo i consigli del medico Antonio Hoffer, appassionato di botanica, ma nei vent’anni successivi l’impianto originario venne alterandosi così da rendere necessario un restauro, concluso nella primavera del 1993 dall’architetto Mariapia Cunico. Con il rifacimento del prato, il drenaggio e la messa in opera di un impianto di irrigazione e di alcune piante, si è restituito l’originario splendore a quest’angolo incantato nel cuore di Venezia. Una meraviglia, un gioiello appunto, incastonato in una realtà che, per il resto, mostrava evidenti sofferenze. Tuttavia un gioiello in grado di calamitare nuova attenzione intorno all’antica istituzione veneziana.

Tra maggio 2006 e giugno 2007 gli spazi ridisegnati da Carlo Scarpa sono stati oggetto di un radicale intervento di conservazione, finanziato dalla Regione del Veneto (L.R. 17.01.02 n. 2 art.41 “Valorizzazione dell’opera di Carlo Scarpa”) e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
A leggere le relazioni tecniche e a esaminare le perizie sullo stato degli edifici che all’indomani dell’intervento di Scarpa componevano il complesso Querini, c’è da stupirsi di come l’impresa oggi compiuta abbia potuto concretizzarsi. Ovunque si scrive di muri marciti dall’acqua, spanciati e inclinati, di tetti sconnessi da cui pioggia e neve si infiltrano ovunque; nelle sale del Museo manca persino l’elettricità così come non c’è alcuna traccia di climatizzazione: le sale si aprivano se e quando la luce del giorno e la temperatura erano accettabili. Nessun impianto di sicurezza e di controllo, enormi spazi non utilizzati né utilizzabili perché impraticabili, pavimenti e soffitti in bilico su muri fuori asse o su travi le cui testate, inserite in muri zeppi d’acqua, non reggevano più nemmeno il loro peso.

Nonostante questo la Fondazione continuava a lavorare a pieno ritmo, la biblioteca era sempre la più frequentata della città, fino a mezzanotte, turisti ammiravano i capolavori delle sue collezioni, veneziani e non continuavano ad attestarle stima destinandole le loro amatissime collezioni.
Negli anni ’80 hanno inizio – sotto la direzione di Valeriano Pastor – gli interventi di riassetto di funzioni e servizi, di sistemazioni architettoniche di specifici elementi e, non ultimi, importanti allestimenti. Collaboratore negli anni cinquanta di Carlo Scarpa (l’autore della sistemazione del piano terra e del giardino della Fondazione), Pastor è responsabile di un articolato programma di ampliamento e ristrutturazione che parte da un’ipotesi di nuova distribuzione dei servizi e arriva al terzo ed al quarto piano dove vengono collocati gli uffici amministrativi.

Il segno più evidente di questo lavoro è proprio il sistema di collegamento verticale, costruito ex novo sul sedime di una scala secondaria ottocentesca, che comprende, oltre alla scala in metallo con gradini in pietra artificiale prefabbricati, anche piccoli ambienti (bagni, fumoirs, depositi) che si affacciano su una “cortesella” del palazzo con volumi convessi aggettanti, rivestiti con doghe in legno, bucati da piccoli oblò che rimandano a figure nautiche. In precedenza Pastor aveva realizzato anche una passerella di collegamento tra la biblioteca e il nuovo deposito librario,e un portone di metallo e legno nel giardino, che dialoga con l’altra porta, scarpiana.

Contemporaneamente, si procedeva alla realizzazione di un complesso programma di opere di consolidamento statico e di messa a norma dell’edificio che sarebbe continuato per tutti gli anni ’90 e oltre, e che avrebbe interessato le fondazioni e la messa in sicurezza della facciata prospiciente il canale, il risanamento dall’umidità del piano terra, il rifacimento del manto di copertura, il consolidamento dei soffitti a stucco e ad affresco del piano del museo, la realizzazione del nuovo e modernissimo deposito librario, sul retro del giardino. Questo ventennale lavoro fu progettato e diretto dall’ing. Walter Gobbetto, coadiuvato dall’ing. Celio Fullin, che alla morte di Gobbetto garantì fino ai nostri giorni la prosecuzione e la conclusione degli interventi.

Al secondo piano sono visibili puntuali e singolari interventi: una trave parete in legno lamellare lasciata a vista e delle travi rompitratta, sempre in legno lamellare con appoggi in acciaio, progettate dagli ingegneri Walter Gobbetto e Franco Geron con la consulenza artistica di Valeriano Pastor.
Edifici e Museo, dopo questa fase, erano “fuori pericolo” e la Nuova Querini Stampalia cominciava a prendere corpo. Infine la terza fase del recupero architettonico e funzionale. Quella affidata a Mario Botta. Va sottolineato che Botta ha scelto di operare gratuitamente alla Querini Stampalia spinto dalla riconoscenza per l’ospitalità che le sale dell’istituzione gli avevano offerto negli anni in cui, lui ticinese, era a Venezia per studiare architettura.

L’intervento di Mario Botta, assistito fin dagli inizi dall’allora giovanissimo Mario Gemin, definisce un rinnovamento profondo della sede della Fondazione Querini Stampalia e prende il via dall’acquisizione, alla fine degli anni ’80, di alcuni immobili limitrofi allo storico palazzo, tra cui, fondamentale, il ponte secentesco su campo Santa Maria Formosa, che costituiva una novità strategica per l’accesso al complesso della Fondazione, da sempre condizionato da ingressi angusti.

Tale ampliamento ha comportato la riorganizzazione dell’intero complesso: si è trattato di rispondere alle esigenze funzionali della sede, muovendosi nella costrizione di locali frutto di una sedimentazione di secoli. L’architetto ticinese interviene con rigore filologico, ricomponendo frammenti tra loro disomogenei in modo da conseguire una continuità spaziale e un’organizzazione delle diverse funzioni chiara e contraddistinta da un’immediata riconoscibilità. Egli opera sulla nuova ala in continuità con il restauro di Carlo Scarpa. Cercati ed espliciti sono i rimandi, nell’essenzialità delle linee, nell’accostamento o nella contrapposizione di materiali e di colori: pietra e metallo, bianco e nero, grigio e rosso. Il progetto comincia a prendere forma dalla fine del 1993, quando Egle Renata Trincanato, presidente della Fondazione, e il direttore Giorgio Busetto ricercano Mario Botta per alcuni consigli sul restauro del palazzo, in corso a cura del Magistrato alle Acque, proponendogli il nuovo intervento.

Il restauro del sottotetto e del terzo piano stava restituendo nuovi spazi per uffici e un’area per mostre e seminari. Botta sposta l’accesso principale su Campo Santa Maria Formosa, dove affacciano le nuove acquisizioni, preservando così l’opera di Carlo Scarpa da continui adeguamenti alle nuove necessità; concentra a piano terra i servizi, intervenendo sugli spazi creando atrio, biglietteria, guardaroba, bookshop, caffetteria, auditorium, scala, ascensori e spazio bimbi. Articola tutto intorno a una hall ottenuta col ripristino della dimensione originaria e la copertura di un’antica corte medievale, vero fulcro dell’intero complesso, elemento unificatore, snodo dei vari percorsi della parte pubblica della sede e piazza interna, punto di ritrovo aperto alla città. La corte coperta si apre vasta, inattesa. Riscatta gli spazi compressi dei locali attigui, ridotti in altezza per portare il pavimento a una quota di sicurezza rispetto all’escursione media di marea.

L’adesione alla lezione scarpiana impone il lavoro con la luce. Negli ambienti e nel giardino disegnati da Scarpa essa è veicolata e riflessa dall’acqua, magicamente rifranta infine nel fremito della gibigianna sui soffitti a stucco. Qui è un velario metallico che scherma e riverbera la luce, creando un effetto di movimento, come se la superficie riflettente di un canale fosse capovolta nel cielo. Ne vibrano tanto le pareti chiare, le cui forature allineate restituiscono geometrica compostezza alla casualità delle superfetazioni cresciute nel tempo sul retro del palazzo, quanto la scacchiera policroma della pavimentazione, che appare un omaggio a quella dell’atrio di Scarpa. Cattura e convoglia la luce che piove dall’alto anche la maglia a lamelle d’acciaio della scala. Sospesa nel vuoto, la sua struttura nuda, di pietra e metallo, richiama lo scheletro forte di un animale preistorico.

Il progetto comprende anche, come si è detto, un auditorium – architettonicamente e tecnologicamente innovativo – di centotrentadue posti, estendibili a oltre duecento utilizzando il circuito chiuso che coinvolge gli spazi adiacenti. La scelta da parte dell’architetto dell’utilizzo dei medesimi materiali e delle stesse modalità costruttive conferisce rigore e continuità al complesso. Un esempio: in tutto il piano terra vi sono pannelli applicati alle pareti per assicurare l’aerazione della muratura, soluzione già adottata da Scarpa. Così facendo il dialogo tra due protagonisti assoluti della storia recente dell’architettura si fa armonia. I loro lavori convivono perfettamente, dialogano, si confrontano empaticamente. Entrambi contribuiscono, con le loro peculiarità, ad arricchire il fascino di un Palazzo, o meglio di un intricato insieme di edifici nel cuore di Venezia, dove la Cultura è veramente di casa.

L’investimento complessivo per gli interventi di ampliamento e riqualificazione del complesso sede della Fondazione Querini Stampalia, a partire dagli anni ‘80, è dell’ordine di 20 milioni di euro, ma considerato l’ampio periodo lungo il quale tali investimenti sono stati operati, il loro valore corrente può stimarsi in almeno 30 milioni di euro. Per oltre l’80% di tale cifra si è trattato di finanziamenti pubblici, soprattutto da parte dello Stato italiano, in particolare attraverso la Legge Speciale per Venezia.

Da Scarpa a Botta:
cinquant’anni di interventi per offrirci
la “Nuova” Querini Stampalia

Fondazione Querini Stampalia
Santa Maria Formosa
Castello 5252, 30122 Venezia
tel 041 2711411
fax 041 2711445

Presidente
Marino Cortese

Direttore
Marigusta Lazzari

Ufficio stampa Sara Bossi
cell 339 8046499
tel 041 2711411
e-mail: s.bossi@querinistampalia.org

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