Il libro di Piercarlo Grimaldi sull’antropologia dell’ultimo romanzo di Pavese

Il 27 agosto 1950, a 69 anni, depresso e infelice a causa dell’esito della tormentata storia d’amore con Constance, Cesare Pavese veniva trovato morto suicida in una camera d’albergo.

Pavese è stato tra i massimi scrittori italiani del novecento. I suoi romanzi hanno raccontato l’Italia contadina che a metà secolo usciva dalla retorica fascista e si avviava verso la grande trasformazione industriale. Tra i suoi romanzi più celebri vi è certamente “La luna è i falò”, da molti considerato alla stregua di una sorta di testamento spirituale.

Proprio in questi giorni, in occasione dell’anniversario della morte, Rubbettino propone in libreria un interessante saggio di Piercarlo Grimaldi, già rettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e docente di Antropologia culturale, dal titolo “Di lune e di falò. Cesare Pavese: antropologia del romanzo dell’addio”.

«È possibile fornire un’interpretazione antropologica del romanzo “La luna e i falò” di Cesare Pavese? – si chiede Grimaldi – Se ampia è la critica letteraria dell’opera pavesiana, parziale è lo sguardo antropologico. Lo scopo della mia ricerca è quello di sostenere che l’ultimo romanzo di Pavese è l’autobiografia dell’addio. “La luna e i falò” è lo specchio romanzato della sua storia di vita, metaforico testamento poetico, scientifico ed esistenziale che contiene e spiega le ragioni della maturata morte. Cesare Pavese vive a cavaliere tra le affettive native colline di Langa della tradizione e la strumentale città della complessità sociale. Il romanzo è l’inesausto tentativo di riappaesarsi alle colline delle giovanili radici perdute nel rumore del conoscere e dell’interpretare le spaesate strade del mondo. Una trasparente, approfondita ricerca del paese, della condizione contadina, delle tradizioni che narrano il suo ritorno in collina, volto ad acquisire una coscienza attiva della comunità. Commutatore sociale e culturale dell’esistenza dello scrittore tra la campagna e la città è l’amico Pinolo Scaglione, il falegname del Salto, il Nuto de “La luna e i falò”, mentore, mediatore, contadino solco diritto che porta Pavese per mano a scoprire e a riscoprire i miti e i riti della Langa del Belbo. Il tentativo dello scrittore di scollinare verso la terra delle origini per recuperarne le radici, per costruirsi una memoria di paese che gli permetta di sopravvivere a qualche “giro di stagione”, è un doloroso viaggio verso la drammatica impossibilità di costruire una memoria che lo appaesi, che lo faccia sentire parte sostantiva della comunità».

In un momento come quello attuale in cui la riflessione di molti intellettuali italiani si concentra verso l’Italia interna, l’Italia dei paesi, il romanzo di Pavese offre infiniti spunti di riflessione, spunti che il libro di Grimaldi ci aiuta a cogliere in tutta la loro ricchezza e complessità.

Piercarlo Grimaldi è stato professore ordinario di Antropologia culturale e Rettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Bra).

Info: antonio.cavallaro@rubbettino.it

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