Proiezione del film Dove nuotano i caprioli negli spazi Bomben di Treviso

Mercoledì 6 dicembre alle ore 20.30 si conclude, nell’auditorium degli spazi Bomben di Treviso, la rassegna cinematografica Paesaggi che cambiano, organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche, a cura di Simonetta Zanon, e dedicata ad Andrea Zanzotto (1921-2011).

In programma la proiezione del film Dove nuotano i caprioli (Italia, 2021, 58’), premio “Geography in a clip” alle Giornate della Geografia 2018. Con la regista Maria Conte, interverranno alla serata Giovanna Deppi, abitante di Domegge, e Mauro Varotto, docente di Geografia all’Università degli Studi di Padova (in collegamento).

L’acqua del Cadore racconta una molteplicità di storie: ha plasmato nel tempo le forme del paesaggio, la vita delle comunità e l’economia della zona, ispirando antichissimi culti e leggende popolari. Tra queste storie, dalla metà del Novecento diviene dominante la vicenda dell’industria idroelettrica, con il progetto – insieme strategico e drammatico – di modernizzazione del Paese che parte dal sacrificio del Piave-Boite-Vajont.

Il documentario raccoglie le memorie del piccolo borgo di Vallesella di Cadore, che nei primi anni cinquanta, dopo la realizzazione dell’invaso di Centro Cadore, va sgretolandosi fisicamente e simbolicamente, e allarga poi lo sguardo sul paesaggio idroelettrico attuale, indagandone le percezioni e osservandone nuove forme d’uso e di “addomesticamento”, suggerendo relazioni su scale diverse e proponendo una riflessione sul senso dei luoghi, sul valore dell’acqua e sulla montagna passata e presente.

Note di regia:
Sono capitata in queste località la prima volta diversi anni fa, durante un viaggio dalle sorgenti alla foce della Piave, alla ricerca di storie legate al fiume e alle comunità rivierasche. Non era prevista una tappa a Domegge, ma presso le più frequentate e turistiche fonti di Lagole, contigue all’invaso di Centro Cadore. Parlando con alcuni avventori, mi incuriosì il contrasto che avvertivo tra quei due luoghi così vicini tra loro, ma specchio di concezioni diverse dell’elemento acqua.

Le sorgenti termali e medicamentose di Lagole, luogo di culto di popoli Veneto antichi e dimora di anguane e altre figure della narrativa popolare, sembravano tutt’oggi essere avvolte e protette da un’aura di misterica bellezza, sacralità e rispetto. Destino diverso è toccato alle vicinissime acque della Piave, ora raccolte nel lago part-time di Centro Cadore: intubate, turbinate, arruolate in prima linea nell’industria idroelettrica. Un’acqua operaia, figlia dell’approccio modernista e tecnicista che caratterizza il rapporto con questo elemento (e con la montagna) nella prima metà del Novecento.

Mi venne consigliato dunque di fare un salto nella vicina Vallesella, «perché lì ne hanno da raccontare», e nel parco (ex piazza) di Villagrande iniziai ad avvicinarmi alle narrazioni di una vicenda umana e giudiziaria travagliata, che aveva visto contrapposta una piccola comunità montana a un colosso industriale come la Sade. Avvertii chiaramente, nonostante il lungo tempo trascorso, un profondo senso di amarezza e ingiustizia e un desiderio di raccontare e far conoscere la propria esperienza, quasi potesse costituire una forma di riscatto per quanto vissuto.

Quanto il vecchio borgo fosse ancora una presenza viva e materica nelle vite degli abitanti mi fu chiaro dalle parole di Cesira, che mi confidò «quando la mattina apro la finestra e guardo fuori vedo Vallesella vecchia». Iniziai dunque a pensare a Vallesella come a un borgo invisibile più che a un paese scomparso: invisibile ai turisti, agli avventori a chi si reca lì per la prima volta… ma ancora ben presente negli occhi e nella memoria di chi l’ha vissuto.
Il documentario vorrebbe tracciare una traiettoria: da una prima parte in cui il territorio sembra prodotto (vittima?) di dinamiche e processi – riassumibili in questo caso nella lettura geopolitica dell’“imperialismo idroelettrico” – a una seconda parte in cui cresce progressivamente l’attenzione verso forme di riappropriazione dei luoghi.

Da una rappresentazione apparentemente statica piano piano emergono nel racconto una serie di forme di agency: modi, pratiche, nuovi modi d’uso e relazionalità con il territorio, che si sono instaurate o si vanno costruendo. Faccio riferimento non solo alle forme di “r-esistenza attiva” come le lettere infuocate dei cittadini alla SADE, o il rifiuto di Giovanni di spostarsi dalla sua casa, o la battaglia legale di Giovanna per salvare la Val Talagona da quello che viene vissuto come un “ennesimo sfruttamento”… ma, a un livello più sottile, anche a una serie di “pratiche quotidiane resilienti” come il camminare e ricordare, l’arrampicare la diga “corpo a corpo” con una valle d’acqua, il vivere il lago pieno o vuoto che sia.

Maria Conte si è laureata in Antropologia culturale e parallelamente formata nel campo della fotografia e del documentario, strumenti con cui svolge ricerche in ambito geografico e antropologico. Ha realizzato i cortometraggi Percorsi umidi (2016), Terre di Mezzo (2018, premio Ambiente al Lunigiana Film Festival 2019, miglior corto sociale a CortoConfine 2019, Student Narrative Award – New York SFC Women’s Film Festival 2019) e il lungometraggio Dove Nuotano i Caprioli (premio “Geography in a clip” alle Giornate della Geografia 2018).

Auditorium spazi Bomben, Fondazione Benetton Studi Ricerche, via Cornarotta 7, Treviso.
Ingresso unico 5 euro.
Prevendita: Fondazione Benetton, dal lunedì al venerdì, ore 9–13, 14–17.

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