A Johannesburg va in scena l’Arte Povera

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Il 27 settembre 1967 a Genova, presso la Galleria La Bertesca, Germano Celant presenta la mostra “Arte povera Im-spazio” in occasione della quale conia la definizione di Arte povera per indicare, come scrive in catalogo, il processo linguistico di alcuni artisti italiani che “consiste nel togliere, nell’eliminare, nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.

La mostra “Arte Povera 1967-1971”, curata da Ilaria Bernardi presso il Wits Art Museum a Johannesburg, e promossa dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg, desidera celebrare i 56 anni da quella prima esposizione nel 1967, realizzando la prima mostra dell’Arte povera nel Continente africano e la prima mostra sull’Arte povera dopo la scomparsa del suo teorizzatore Germano Celant, avvenuta nel 2020. Ha dunque un’importante valenza dal punto di vista storico.

La mostra, grazie alla collaborazione con gli artisti, con i loro archivi, con importati collezionisti e musei che si sono resi disponibili a prestare le opere di loro proprietà, accoglie storici lavori dei 13 artisti che, dopo aggiunte e sottrazioni avvenute dopo il 1967, sono ormai considerati gli esponenti canonici dell’Arte povera: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

La curatrice Ilaria Bernardi, anziché proporre una retrospettiva generale sulle ricerche di questi 13 artisti, ha preferito adottare un concept maggiormente analitico e filologico, capace di restituire la vivacità e il dialogo esistenti tra artisti tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primissimi anni Settanta. Al Wits Art Museum saranno infatti esposte opere emblematiche della ricerca di ogni artista, datate tra il 1967 – anno in cui Celant conia il termine Arte povera – e il 1971 – anno in cui egli postula che l’etichetta Arte povera deve dissolversi affinché ogni artista possa assumere la sua singolarità. Mediante questa specifica circoscrizione temporale, la mostra desidera approfondire la prima fase dell’Arte povera, ma al contempo si propone di coglierne i comuni denominatori che hanno portato Celant a definire tale quella ricerca. Da qui l’aggiunta di alcune opere realizzate negli anni immediatamente precedenti al 1967.

La maggior parte delle opere presenti in mostra sono state presentate in storiche esposizioni collettive dell’Arte povera e in mostre personali dei rispettivi artisti, tenutesi tra il 1967 e il 1971. Tra le opere esposte: Direzione (1967) di Giovanni Anselmo; Senza titolo (porte) (1966) di Alighiero Boetti; Piombo rosa (1968-2018) di Pier Paolo Calzolari; Pavimento (Tautologia) (1967) di Luciano Fabro; Senza titolo (1968) di Jannis Kounellis; Sitin (1968) di Mario Merz; Scarpette (1968) di Marisa Merz; Averroè (1967) di Giulo Paolini; Scoglio (1966) di Pino Pascali; Svolgere la propria pelle (1970-1971) di Giuseppe Penone; Orchestra di stracci – Quartetto (1968) di Michelangelo Pistoletto; Identico alieno (1967-1968) di Emilio Prini; Letto (1966) di Gilberto Zorio.

Accompagna la mostra un’area dedicata a una cronologia illustrata delle mostre collettive tenutesi in quegli anni da considerarsi cardini per la storia dell’Arte povera, corredata da teche con i relativi cataloghi.

Conclude il percorso espositivo il video-documentario Arte povera, a cura di Beatrice Merz e Sergio Ariotti (Hopefulmonster, Torino 2011) che fornisce una panoramica dell’Arte Povera con ampio materiale d’archivio, filmati di mostre personali recenti e a spezzoni di interviste con Germano Celant, alcuni artisti, critici e galleristi.

La mostra fa parte di un più ampio progetto espositivo intitolato “Arte Povera and South African Art: In Conversation”, promosso dal Wits Art Museum a Johannesburg e dal Consolato Generale d’Italia a Johannesburg e che include, nelle stesse date della mostra curata da Ilaria Bernardi, un’altra mostra dal titolo “Innovations in South African Art, 1980s-2020s” a cura del curatore sudafricano Thembinkosi Goniwe dedicata ad artisti sudafricani che, per alcuni aspetti della loro pratica, si dichiarano o risultano affini all’Arte povera: Lucas Seage, Jane Alexander, David Thubu Koloane, Kagiso Pat Mautloa, Moshekwa Langa, Usha Seejarim, Bongiwe Dhlomo-Mautloa, Willem Boshoff, Kemang Wa Lehulere, Thokozani Mthiyane, Kay Hassan.

“Arte Povera and South African Art: In Conversation” sarà accompagnato da un libro/catalogo illustrato, edito da SilvanaEditoriale, bilingue (italiano/inglese) e “doppio”, da sfogliare in due versi, entrambi con presentazioni istituzionali dell’Ambasciatore d’Italia a Pretoria, Paolo Cuculi, e della Console Generale a Jogannesburg, Emanuela Curnis. Il primo verso del volume sarà dedicato alla mostra sull’Arte povera curata da Ilaria Bernardi e includerà un suo ampio saggio, approfondimenti sulle opere e sui 13 artisti e una cronologia delle più importanti mostre dell’Arte povera dal 1967 a oggi. Il secondo verso sarà dedicato all’esposizione curata da Thembinkosi Goniwe e includerà un suo saggio, nonché approfondimenti sulle opere e sugli artisti sudafricani esposti.

Contatti per la stampa

Studio ESSECI

di Sergio Campagnolo s.a.s

Ufficio Stampa, Pubbliche Relazioni e Progetti di Comunicazione

Indirizzo: Via San Mattia, 16 – 35121 Padova (PD)

Email: segreteria@studioesseci.net

Tel: +39 049.66.34.99

Wits Art Museum

Il Wits Art Museum (WAM), connesso all’omonima università (la Wits University), è il più importante museo d’arte di Johannesburg dedicato all’arte africana. La sua collezione comprende oltre 13.000 opere d’arte africana ed è nata da una piccola collezione didattica dipartimentale avviata all’inizio degli anni ’50 da due professori, Heather Martienssen e John Fassler, entrambi del Dipartimento di Architettura della Wits. Alla fine degli anni ’60, Norman Herber donò ingenti fondi per l’acquisizione di opere, consentendo alle collezioni storiche e contemporanee di crescere in modo sostanziale. Nel 1978 le prime opere d’arte classica africana furono donate da Vittorio Meneghelli e l’anno successivo fu avviata la Standard Bank African Art Collection e John Schlesinger donò una grande collezione di oltre 100 opere. Altre importanti aggiunte alle collezioni includono la Collezione del Wits Museum of Ethnology (2001), l’Archivio Neil Goedhals (1993), l’Archivio delle stampe di Robert Hodgins (2007), la Collezione Sekoto (2010), gli archivi di Walter Battiss (2017) e Judith Mason (2017). Attualmente il museo include anche il Jack Ginsberg Centre for Book Arts che ospita oltre 3000 libri d’artista, di cui 400 sudafricani, nonché un archivio unico di 3000 oggetti sulla storia e lo sviluppo di genere dell’arte del libro, oltre a una vasta biblioteca di monografie sull’arte sudafricana. L’edificio in cui si trova il Wits Art Museum è stato progettato dagli architetti Nina Cohen, Fiona Garson e William Martinson che sono stati premiati con il Visi Magazine Architecture Award 2012 proprio per il loro lavoro per WAM.

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