Yves Klein: la rivoluzione pittorica in blu.

Sarà capitata a tutti, in una giornata di sole terso e mare limpido, quella domanda così ingenua e devastante che soltanto un bambino in adorazione di un adulto può fare. Perché il mare è blu e se invece trattengo un po’ d’acqua tra le mani è trasparente? Pochissimi, padri o madri, si saranno lanciati in spiegazioni ottiche, noiosissime per altro. I più avranno annuito. “Eh sì, strano, forse il cielo riflesso. Su, piccolo, continuiamo a camminare”.

Ma imbarazzati o disinvolti, il dubbio rimane. Simile a quel senso d’inadeguatezza che affiora di fronte ai misteri, anche se significativamente abbordabili, della vita. Gli spazi assoluti, l’uomo così piccolo davanti all’oceano, il mondo così grande. Semplice. In realtà, complicatissimo. E’ ancora una volta l’espressione artistica che offre, senza alcuna pretesa di completezza, l’occasione sensibile ed intensa di riparare all’azzardo di splendide domande infantili. Ed è nel dettaglio l’arte affascinante del nizzardo Yves Klein (1928-1962), pittore innamorato del pigmento blu, compositore eccentrico, esperto judoka, teorico visionario ed utopista, nelle cui opere, rigorosamente costruite in “total blu”, si nascondono, in maestosa enigmatica evidenza, le risposte ai quesiti che da sempre hanno turbato l’anima umana. Sentire l’anima senza spiegarla, in uno sforzo costante di raggiungere la purezza di qualche valore assoluto, spinto da un viscerale misticismo artistico: eccolo il profilo estetico e vitale, giacché in lui coincidono pienamente, di Klein. Forse il più degno continuatore del lavoro di Marcel Duchamp, di quel Duchamp, per la precisione, che a partire da un certo punto della sua vita non aveva più prodotto opere, ma soltanto esibito una serie di manifestazioni esistenziali. E sarà proprio il fantasmagorico Klein a dire: “La vita stessa è l’arte assoluta”, intendendo la pittura non come semplice rappresentazione, ma come unico e supremo atto esistenziale.

Il mare blu, per esempio (colore protagonista nell’opere di Yves Klein, tanto da essere brevettato nella sua singolare composizione di blu oltremare come IKB, ovvero “Internazionale Klein Blue”), proprio blu come totalità di essere puro, come profondità dell’animo, come cromia del Divino e del Sublime, come genesi del pensiero e dell’atto pittorico, inizio e fine dell’esistenza. Senza colore, invece, se vissuto limitando l’ampiezza della sua meraviglia, tra quelle dita che nulla possono contro l’immensità dello spazio e la vitalità dei suoi flutti. Risposta meravigliosa e chiarissima per i nostri piccoli, che ne dite? Quasi un pensiero a braccia aperte, costruzione perfetta di poesia e ragione, emotività romantica e purezza segnica delle avanguardie. Miscela vitale dagli esiti originalissimi, fecondi per le generazioni a venire. Se infatti nel rapporto Uno-Infinito s’infiltra, talvolta, l’aria del pessimismo più appassionato e rivoluzionario, a vibrare nel resto della sua attività artistica è una sensazione di libertà, disciplina, concentrazione, rigore. “Percepire l’anima senza spiegarla, senza vocabolario e, rappresentare questa sensazione…”, scrive lo stesso Klein in “L’aventure monocrome” del 1959. Ed aggiunge “Io credo che sia stato questo a condurmi alla monocromia!”.

Un invito a spingere all’infinito i propri limiti (il quadro ha misure precise, ma la sua intensità è al di sopra del tempo e dello spazio) e, a rappacificarsi con se stessi, tanto la ricerca di Klein affonda nelle radici della visione, ma senza reciderle. Ritornando a noi fertile, purificata, riconciliata. Come la cometa Rimbaud, Klein è un asceta, un uomo dalla sensibilità luminosa che si spegne a soli 34 anni, nel 1962. Questa la brevissima biografia di Yves, un “enfant prodige”, stella per le generazioni future tanto che riesce spontaneo l’accostamento della cometa Yves Klein nel firmamento dell’arte del Novecento a quel luminosissimo corpo celeste di Arthur Rimbaud nel cielo della poesia. In comune tra i due grandi della cultura francese, la precocità delle intuizioni e delle realizzazioni artistiche, il sogno di trasformare la realtà in poesia, identificando la vita stessa con l’opera d’arte. Per Klein, figlio di pittori, nato a Nizza il 28 aprile del 1928, iscritto alla scuola della Marina mercantile e poi di Lingue orientali, il sogno di uno spazio puro, “spirituale”, nasce, oltre che di fronte al mare, in una palestra di judo.

Divisa bianca, una riga la cintura (nera dal 1953), concentrazione, silenzio, quel silenzio che gli ispira, a soli diciannove anni, la “Simphonie Monoton-Silence”. Quindi, purezza dei movimenti e velocità che imprimono nell’aria il disegno del corpo, come il trionfo formale e volumetrico che ammiriamo nell’opera sorpendente, “Nike di Samotracia”, inserita quale introduzione visiva di quest’articolo. Così come le impronte dei piedi e delle mani dell’artista sulla tela, nella prima opera del 1947 “Empreintes des mains et des pieds d’Yves Klein”. Esordio brillantissimo, che implica già il suo superamento. Scrive Klein “Le mie mani e i miei piedi intinti nel colore, poi applicati al supporto ed, ecco, ero lì, di fronte a tutto ciò che in me era psicologico. Avevo la prova di avere cinque sensi, di saper far funzionare me stesso! Poi ho perduto l’infanzia e, adolescente, ripetendo il giochetto, assai presto ho incontrato il nulla. Non ho amato il nulla ed è così che ho conosciuto il vuoto, il vuoto profondo, la profondità blu!” Ed ancora: “Dinanzi a questi quadri monocromi, gli spettatori mi ripetono spesso: “Ma che cosa rappresenta?”. Potrei rispondere e, d’altronde l’ho già fatto agli inizi, che rappresenta del blu in sé…”. In altre parole, sono solo il pensiero e il gesto dell’autore che, secondo Klein come già secondo Duchamp, possono dotare di valore un qualsiasi oggetto ed espressione, trasferendo dalle nebbie dell’insensato all’aria tersa del senso: da lontano si sente l’influenza dei Dada, il movimento che, dopo la Grande Guerra, nell’arte del XX secolo abbatte le dighe dell’assurdo.

Paradossalmente, nella grandezza irreale di uno spazio dominato da u unico colore, abolito il pennello perché troppo psicologico, scelto al suo posto il rullo (“per uscire da quel fenomeno di spettacolo in cui si risolve il tipico quadro convenzionale, il quadro da cavalletto”), nasce un nuovo rapporto che l’artista stabilisce con la realtà. E’ la “Nouveaux Réalistes”, ossia un gruppo di artisti, da Arman a Jean Tinguely, da Dufrene a Martiale Raysse, da Daniel Spoerri a Hains e Villeglé, guidati dal vulcanico critico Pierre Restany, che il 27 ottobre del 1960 firmano a casa di Klein il “manifesto” di questo singolare ritorno all’essenzialità del mondo. E in linea con il celebre spazialismo dell’argentino Lucio Fontana. E’lui infatti ad acquistare, alla prima mostra di Klein in Italia, “Proposte monocrome, epoca blu” presso la Galleria Apollinaire nel 1957, un’opera dell’artista francese.

Ma se si dovesse valutare da una sola angolatura il valore di una riflessione teorica, forse la duttilità, quella forma di filiazione maschile che a un’opera ne fa seguire un’altra e un’altra ancora, in forma diversa, è senza dubbio questa l’angolazione migliore, per cogliere l’originalità del pensiero di Klein. E così come una genealogia d’idee e d’immagini, ai “Monochromes”, che intravedono l’antecedente nel blu assoluto dei cieli dipinti da Giotto nel ciclo degli affreschi di Assisi, seguono le “Sculptures éponge” nella fase creativa conclusiva, spugne, “materia selvaggia vivente”, dipinte di blu; seguono ancora i progetti per una “Architecture de l’air”: muri di fuoco, muri d’acqua e tetti d’aria per “rendere la città di domani finalmente flessibile, spirituale ed immateriale”. Ed infine le “antropometrie”, raccolte nel titolo “Célébration d’une nouvelle Ere anthropométrique”: impronte che copri femminili dipinti di blu lasciano una volta distesi sulla tela o sulla carta, che riportano Klein a cogliere nel colore più amato e nel fugace passaggio di una traccia quel senso d’“indefinibile”, perché “io dipingo quel momento pittorico nato da un’illuminazione avuta immergendomi nella vita stessa”.

Il 6 giugno 1962 Klein muore vittima di una crisi cardiaca nella sua casa di Parigi. Due mesi dopo, il 6 agosto vede la luce suo figlio, Yves Junior. Si spegneva il Pittore del Blu e nasceva il Figlio dell’Infinito. La vita, ovvero la forma più alta di arte, continuava il suo corso. Tenetevi pronti per la prossima “favola” artistica, miei diletti Aficionados! Ci risentiremo presto! Vostra Elena P.

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