La bellezza di essere normali nel “mattino” di Anne Tyler.

Se mai verrà il mattino

“Solo un romanziere straordinariamente dotato, poteva scrivere un libro tanto bello”: è il 1964 e la sezione critico-letteraria del “The New York Times” accoglie in maniera, legittimamente entusiasta e trionfalista, l’esordio narrativo della ventitreenne, schiva e solitaria, Anne Tyler, con uno dei suoi capolavori di maggior presa emotiva, ovvero “Se mai verrà il mattino” (216 pp., casa editrice Guanda, costo 14.00 €).

E a rileggerlo oggi, credetemi, quattordici romanzi dopo, quella sua prima prova romanzesca continua a mantenere uno smalto tematico e stilistico, davvero strepitoso e, per certi aspetti, stupefacente. Giacché appare alquanto particolare che un’autrice, allora così giovane e poco avvezza alla narrativa, riesca a raccontarci, senza eccedere in aggettivi fuorvianti e pomposi, senza mascherarsi tra fronzoli formali ed espedienti di bassa lega letteraria, un’emozione mal controllata, un personaggio scivoloso che scappa di mano o meglio di penna, una storia incredibilmente normale (quindi, assolutamente difficile da rendere) come questa. Una storia che si crea e si dipana, pagina dopo pagina, dove all’apparenza non sembra succedere alcunché di ecclatante, ma che in realtà riflette la complessità e la bellezza crescente, di ogni attimo della quotidianità.

E’ il canovaccio del mondo, la storia di uno ma in fondo di tutti: il protagonista è Ben Joe Hawkes, 25 anni appena compiuti, occhi grigi e ravvivati come un gatto errabondo, che lo fanno sembrare sempre un filo sospettoso e guardingo, con quell’andatura un po’ curva e ciondolante, che gli conferisce un’aria da trovatello disorientato. Ben Joe è a New York da qualche mese, per frequentare un corso post-lauream alla Columbia University. Ma la Tyler svela subito l’inadeguatezza nascosta del ragazzo…”Il vento che veniva dal fiume gli entrava fin dentro le ossa, qualsiasi cosa indossasse e, poi i suoi compagni erano tutti brillanti e veloci e, quando era con loro, non sapeva mai cosa dire”. In altre parole, Ben cova una voglia nostalgica incontenibile, di tornarsene nella sua verde North Carolina, dove ha lasciato la madre, sei sorelle, un’indomabile ed amatissima nonna ultrasettantenne.

E un giorno il desiderio diventa azione determinata e concreta: Ben lascia la metropoli, usando come pretesto una telefonata da casa, che lo allarma e lo inquieta oltremodo. Sale su un treno tanto agognato, forse metafora della sua salvezza e ritorna sui suoi passi antichi: la Tyler, con un geniale talento descrittivo, riesce a farci sentire, attraverso le righe dense e pregnanti della sua prosa, l’odore, il rumore e perfino l’umidità di quei vagoni. La nostalgia, i nodi insoluti, la volontà di conoscenza, la ricerca di verità: che cosa muove i passi di Ben verso il suo nido domestico? Eccolo il clou, il punto nevralgico della straordinaria normalità di Ben e dell’ eterna, ricorrente domanda “se mai verrà il mattino”, che egli si pone ossessivamente.

Macina acque tormentate dentro di lui il bisogno di capire perché suo padre se n’era andato con un’altra donna, senza che sua madre versasse una lacrima e facesse nulla per trattenerlo. S’impone come Uomo la necessità di rompere l’indifferenza strisciante, quel muro di gomma insidioso, per cui, di fronte ai fatti più strani e dolorosi, nella sua famiglia nessuno si scompone od oppone la benchè minima obiezione. Forse Ben desidera, nel profondo, riagguantare le redini più salde del proprio destino, che magari si presenta sotto le spoglie inaspettate di un compianto e redivivo amore adolescenziale.

Umanamente, ne ho la più ferma convinzione, vi innamorerete del personaggio di Ben, giacché è proprio la gente comune a commuoverci e a conquistarci nel profondo: anche la persona, all’apparenza più normale e semplice, racchiude dentro di sé un tesoro insolito e multiforme, da cui rimanere affascinati. Ciò accade nella vita di tutti i giorni e nei libri magnifici di Anne Tyler: ella riesce a portare a galla, nella magica quiete del quotidiano, l’eccezionalità dell’individuo, sepolta sotto una coltre di oblio e di noncuranza sociale. Riesce a farlo, grazie ad un’ironia ben dosata, ad una prosa sobria, ad una scrittura coraggiosa che non si sottrae alla vita e, specialmente, perché non ha paura di…”Se mai verrà il mattino”. Il suo, il mio e il mattino di tutti noi!! A presto. Elena.

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